Sarah: "Perché ho permesso a una setta di marchiarmi a fuoco"
L'attrice Sarah Edmondson racconta i suoi dieci anni in una setta, manipolata, tenuta in pugno con ricatti, e marchiata a fuoco. "Ecco come ho potuto permetterglielo" racconta.
L'attrice Sarah Edmondson racconta i suoi dieci anni in una setta, manipolata, tenuta in pugno con ricatti, e marchiata a fuoco. "Ecco come ho potuto permetterglielo" racconta.
Quando ascoltiamo le testimonianze di qualcuno che, nel suo passato, ha vissuto l’esperienza di una setta, il primo commento, troppo facile e banalmente superficiale, che viene spontaneo fare a molti è “Te la sei cercata”.
Già, perché il presupposto, errato, da cui si parte, è che chi finisce avviluppato nelle spire di una società segreta lo faccia consapevolmente, comprendendo esattamente dove stia andando a invischiarsi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e accettando regole, imposizioni e brutalità solo perché “così vuole”. Ma è un discorso troppo riduttivo, difficilmente applicabile nel concreto a una realtà complessa come quella raccontata nelle ultime settimane, ad esempio, da Michelle Hunziker, o dall’attrice canadese Sarah Edmondson, che ha deciso di parlare della propria personale esperienza dopo un reportage del New York Times che ha portato alla luce i segreti inconfessabili di una società segreta femminile legata a Nxivm, un movimento definito “filosofico” nato nel 1998 a New York.
Chi viene intrappolato nelle reti di una setta lo fa perché viene preso in un momento particolare della propria vita, perché è alla ricerca di risposte, di sicurezze, di fiducia, perché chi sta alla base del clan conosce esattamente i tasti su cui muoversi per manipolare lentamente, gradualmente, subdolamente la psiche, molto labile in quel momento, dell’individuo. Con Michelle Hunziker la guru Clelia ha approfittato del rapporto complicato dell’allora giovanissima conduttrice svizzera con il padre, nel caso di Sarah tutto è accaduto quando lei, attrice con una discreta carriera cominciata molto presto, era alla ricerca di un miglioramento personale. Come lei stessa ha raccontato a Vice, è stato il regista Mark Vicente a spingerla verso l’adesione a un movimento guidato da, Keith Raniere, definito dall’uomo come “un filantropo che stava cambiando il mondo”.
Perché non fidarsi, deve aver pensato Sarah, non può succedere nulla. Comincia così un primo training di cinque giorni, la Edmondson è ancora piuttosto diffidente, soprattutto perché cerca su Internet informazioni sul gruppo e quello che legge non le piace. ” Uno può scrivere quello che vuole, online – minimizza l’amico Mark – È ovvio che esistano hater e campagne d’odio eccetera“.
Il gruppo, in cui Raniere ha il lusinghiero nome di Vanguard, “avanguardia” (del resto, era il leader del presunto movimento filosofico) punta, come racconta Sarah, a farti sentire a disagio, si nutre del tuo imbarazzo, del tuo senso di smarrimento: “Se ti senti a disagio significa che stai facendo tutto come deve essere fatto, che stai portando alla luce delle tematiche di cui vale la pena parlare con il gruppo. E se non ne parli qui, dove vuoi parlarne? Avevamo ognuno le nostre ‘questioni aperte’, le nostre soluzioni. Il nostro problema nella vita. Se cercavo di esprimere una preoccupazione, me la rimbalzavano addosso”.
Ogni cosa che le sembra strana, cerca di spiegarsela razionalmente: le fasce indossate, come quelle dei karateki, i nomi che definiscono i ruoli guadagnati da ciascuno dei membri, sensei, medici, lo stesso Vanguard… tutto trova una giustificazione e, quando Sarah viene sottoposta agli Executive Success Programs, i programmi di realizzazione personale, al terzo giorno del training, le sembra quasi di aver raggiunto il suo scopo: si sente decisa, determinata, percepisce la chiarezza dentro di sé e la comprensione delle altre persone, eppure…
Il rischio è alto, ma lei ancora non lo sa: “Ti rimane anche una sensazione, la sensazione che ci sia un problema, dentro di te e che, ovviamente, per risolverlo devi essere più allenato. Anche se mi sentivo forte, dunque, sapevo che dovevo ancora cambiare molto, evolvermi, per essere felice. Ero dipendente, diciamo“. Lo ha capito adesso, dopo aver aperto gli occhi sulla distruzione a cui la setta la stava portando, e nonostante le aspre critiche di chi, allo scoppio della polemica sul NYT, troppo facilmente, l’ha appellata come “stupida” per aver creduto alle promesse di Nxivm.
A quell’epoca, tra il 2005 e il 2009, Sarah segue così tanti training da diventare un’organizzatrice, al punto di lavorare fianco a fianco proprio con Raniere; crede così ciecamente nel movimento da volerlo portare in Canada, e da aprire, nel 2009, una filiale a Vancouver, in società proprio con Mark Vicente. Sarah, così presa da Nxivm, ignora anche i motivi per cui dovrebbe iniziare a dubitare della bontà del programma, ad esempio quando, fra il 2011 e il 2012, iniziano a essere usate vere e proprie punizioni corporali per far “pagare pegno” a chi non rispettasse un obiettivo. ” Io non l’ho mai fatto, ma era parte del programma – spiega oggi – se non raggiungevi il tuo obiettivo o quello che avevi detto che avresti raggiunto, dormivi per terra, o magari ti facevi la doccia fredda per una settimana […] Ricordo una donna, una volta, finita a un regime da 300 calorie al giorno: mangiava purè di zucchine congelato e zuppa di pomodoro“.
È l’antifona di quello che succederà anche a lei di lì a poco, quando l’amica intima Lauren Salzman le annuncia di volerla coinvolgere in un progetto pazzesco, ma che prima necessita di un pegno da lei: una foto di nudo, o la rivelazione di un segreto di famiglia. Sarah è titubante, ma accetta, perché si fida di colei che è stata sua testimone di nozze; ma mente, perché non ha molti segreti familiari da rivelare, così li inventa. Ciò che la Salzman ha in mente è di creare un gruppo di donne a livello internazionale, estranea a Nxivm o agli Executive Success Programs, un “badass bitch bootcamp”, ma per accettare Sarah nel clan ha bisogno di un voto di obbedienza totale, come in una sorta di relazione schiavo/padrone. Nel frattempo, l’amico Vicente esce dal gruppo, proprio dopo aver saputo dell’esistenza di quella setta al femminile.
Nel marzo di quell’anno è prevista la cosiddetta iniziazione, e Sarah deve andare ad Albany, nello stato di New York, quello di cui le hanno parlato è un tatuaggio. Lei non vuole, non ha piercing né tattoo sul corpo, ma ancora una volta si lascia convincere dall’amica che le spiega che la sua è solo paura, e che la supererà. Nella stanza dove si svolge il rito, viene fatta spogliare nuda e bendata, avverte altre donne intorno a sé, tutte nella sua stessa condizione; il rito ha inizio.
È entrata la dottoressa Danielle Roberts, che conoscevo tramite Nxivm. Abbiamo fatto a turni a tenerci ferme: tre immobilizzavano la compagna e la quarta filmava. È tutto registrato, da qualche parte. La prima donna era sul tavolo e io le altre le stavamo sedute sulle gambe, tenendola ferma. La prima volta, quando le hanno bruciato la carne, piangevamo, tremavamo, ci abbracciavamo. Era come un film dell’orrore. Avevamo addosso mascherine chirurgiche perché l’odore della carne bruciata era fortissimo e orribile. Ero pietrificata, e tutte le cellule del mio corpo urlavano: vattene. Scappa. E pensavo, non ho una macchina, sono nuda, sono in una città che non conosco, cosa devo fare, scrivere a mio marito? E far esplodere tutto? Ma non posso farlo, ho fatto voto di segretezza… Come faccio?
Sarah è terrorizzata, ma decide di farlo comunque, perché sa di non avere altra scelta.
Ero dissociata. Non ero presente, ero da un’altra parte. Pensavo a quando ho partorito, pensavo a quanto amavo mio figlio, pensavo a quanto sono forte, mi sono concentrata su quello. Ho ricordato tutto l’amore che provavo. E il dolore, mio dio, immaginate che qualcuno prenda un fiammifero acceso e vi disegni una cosa sul pube.
La setta ha sempre più il controllo su di lei, pretende foto di nudo, un video, le altre donne fanno ancora peggio, accettano di far avere video molto espliciti. Una maniera subdola di ricattare, di tenere in pugno le persone, ma Sarah è arrivata a questa conclusione solo dopo molto tempo, finendo a lungo in analisi, compiendo un lungo percorso terapeutico su se stessa. “Sono decisamente in via di guarigione, anche solo perché riesco a parlarne – dice a Vice – Ci sono donne che non riescono ancora a farlo. Che non riescono nemmeno a uscire dal letto per il dolore, non solo quello fisico del marchio, ma perché si sentono perse. Quello che hanno fatto è assolutamente distruttivo“.
Oggi che la bomba Nxivm è scoppiata, le autorità di New York hanno comunque scelto di non perseguire Raniere, perché ritengono che le donne abbiano accettato consapevolmente di farsi marchiare a fuoco, mentre il leader del movimento ha addirittura denunciato Sarah per diffamazione. Attualmente Nxivm e i suoi vertici si sono rifiutati di rilasciare una qualsiasi dichiarazione in merito all’inchiesta portata avanti dal NYT. Di quei quasi dieci anni di manipolazioni e torture fisiche e psicologiche oggi Sarah dice:
È successo per piccoli passi, sempre più ‘impegno’ da parte mia, sempre più obblighi e minacce. Un sacco di gente dice che potevo scappare, che potevo andarmene. Al tempo non mi sembrava una strada praticabile.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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