La storia di Sebastiano Notarnicola, rapito a 5 mesi e tornato alla famiglia biologica a 16 anni

La vicenda della neonata di Cosenza ha riportato a galla anche la storia di Sebastiano Notarnicola, rapito a 5 mesi da una donna che non poteva avere figli e tornato nella famiglia biologica solo a 16 anni.

La storia della piccola Sofia Cavoto, rapita da una clinica di Cosenza e per fortuna riportata subito ai genitori ha risvegliato in Sebastiano Notarnicola e in sua madre, Annamaria Desiati, ricordi pieni di terrore e di ansia.

Notarnicola, infatti, venne rapito ad appena cinque mesi e mezzo da una donna che non poteva avere figli, vivendo con la famiglia che lo aveva preso fino ai suoi 12 anni, nascosto al mondo per non far scoprire che Hermann – il nome che gli avevano dato – era in realtà proprio quel bambino, sottratto a una coppia milanese il 20 aprile del 1978.

L’incubo, per la famiglia Notarnicola, si interrompe solo quando “Hermann” viene mandato in collegio e lì, su una foto dell’istituto pubblicata su un giornale distribuito nelle parrocchie, Desiati e il marito Giovanni riconoscono il loro Sebastiano.

A raccontare a Fanpage la sua storia è proprio l’uomo, oggi quasi 48enne.

“Quando sono nato, nel 1977, mia madre Annamaria ha messo un annuncio su un quotidiano dove chiedeva degli abiti usati per me. Le ha risposto una donna che si è presentata come assistente sociale e ha conquistato la sua fiducia. Una volta diventate amiche, la mattina del 20 aprile 1978 si sono recate in un bar in corso Vercelli a Milano e questa donna ha chiesto a mia madre se poteva lasciarmi con lei, che mi avrebbe comprato dei vestiti al negozio Chicco”.

Dopo un’ora, però, la madre di Sebastiano Notarnicola non ha visto tornare nessuno, e ha allertato subito i carabinieri.

“mi teneva nascosto – ricorda oggi lui – Lei non poteva avere figli, però desiderava averne, non tanto per sé ma per suo marito. Aveva avuto delle gravidanze isteriche e, dal momento che mi aveva portato a casa a cinque mesi e mezzo, a suo marito aveva detto che ero dovuto stare in ospedale perché non stavo bene, lui non sapeva niente e quando sono arrivato era molto felice”.

L’infanzia con quella che credeva essere la sua famiglia, ricorda, è stata diversa: “Dato che non potevo andare a scuola perché non avevo i documenti, quello che credevo mio padre mi ha insegnato a leggere e a scrivere. Non ero una persona normale, non uscivo, non frequentavo i miei coetanei, ma lui suppliva a questa solitudine facendomi fare cose ‘da grandi’: a sette anni mi insegnò a montare e a guidare la moto, a spostare il camion, a guidare la macchina”.

La verità comincia a venire a galla quando, a undici anni, la casa in cui Notarnicola viveva in Valsassina, in provincia di Lecco, è andata a fuoco per un corto circuito, e lui è stato messo in un collegio religioso. Quello che ha poi pubblicato la foto decisiva. “Una cugina di mio padre biologico, dalla Puglia, ha visto la mia immagine su quel giornale e ha notato subito una forte somiglianza con suo nipote a Milano, cioè mio fratello. Io e lui siamo sempre stati due gocce d’acqua. Da lì ha allertato i miei genitori biologici”.

“Siamo andati subito in questura e abbiamo portato la foto – aggiunge Annamaria Dessiati – da lì sono ripartite le ricerche. Io avevo la speranza, dentro di me sapevo da sempre che mio figlio era ancora vivo e il dna ce ne ha dato la prova”.

La verità, al ragazzino, è stata raccontata dal direttore del collegio; dopo aver passato altro tempo nell’istituto, con vari tentativi di fuga, a 16 anni Notarnicola ha finalmente conosciuto i genitori biologici, prima il padre – che nel frattempo si era separato dalla moglie – e i fratelli, poi la madre, “perché il giudice aveva disposto che stessi con l’unico dei due genitori che aveva un lavoro”.

“Purtroppo con mia madre non ho avuto un rapporto madre-figlio – confessa l’uomo – ma io penso che non sia colpa sua, è colpa mia, perché sono cresciuto con una famiglia che ho sempre creduto che fosse la mia mentre non lo era, perciò mi è molto difficile oggi costruire legami. Anche con gli altri familiari c’è stato un rapporto all’inizio freddo, come se fossimo più che altro amici. Non li conoscevo, avevo sempre paura di fare delle cose sbagliate o per cui magari mi avrebbero riportato in collegio. Con loro mi comportavo con lo stesso carattere maturato durante l’infanzia, chiuso e un po’ selvaggio”.

Sebastiano Notarnicola ha anche spiegato di aver voluto incontrare di nuovo le persone che lo hanno portato via: “Li ho trovati cambiati, totalmente cambiati. Quando mi hanno visto mi hanno subito detto che ci avevano preso in giro, hanno negato tutto. Io ero contento di vederli, però non volevo più stare con loro, che tra l’altro avevano anche diverse cause pendenti per altri reati. Mi sentivo bloccato, nonostante per tanto tempo avessi desiderato solo tornare a essere loro figlio”.

“Oggi ti senti più Heramann o Sebastiano?” domanda la giornalista di Fanpage.

Diciamo che se qualcuno mi chiama Hermann mi sento più felice che se mi chiamano Sebastiano, perché comunque è un nome che ricollego ai tempi dell’infanzia, prima del collegio, e quello è stato il periodo che ricordo come il più sereno della mia vita.

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