Sta uscendo allo scoperto un vero e proprio scandalo che potrebbe travolgere il mondo ecclesiastico, quello che riguardarebbe decine di suore violentate da uomini del clero.

75 mila nel mondo, secondo la teologa e filosofa tedesca Doris Reisinger, ex suora della famiglia spirituale Das Wer, le religiose che potrebbero aver subito violenza sessuale; avere dati ufficiali, ha spiegato a Repubblica, è decisamente complicato, ma secondo un’indagine condotta negli USA nel 1998 almeno una suora su tre avrebbe subito, nella propria vita, una forma di abuso; il 12,5% uno stupro.

E a confermare questi seppur scarni dati arrivano, sempre a Repubblica, le parole di una ex suora violentata, chiamata Giusi (nome di fantasia) che oggi ha 73, e che al quotidiano, a Iacopo Scaramuzzi, ha raccontato quanto subito per anni. Violenze che solo oggi la religiosa ha deciso di denunciare.

Tutto comincia nel 1963, quando la famiglia di Giusi, costretta a trasferirsi per lavoro, pensa che il convento sia la soluzione migliore. Appnea bambina, Giusi si ritrova a lavare, asciugare e piegare la biancheria di 160 preti e seminaristi di un’abbazia di zona. Niente scuola, nessun contatto con la famiglia, lei e le altre non potevano neppure indossare il reggiseno perché era considerato un atto di vanità. Restrizioni e sacrifici che dovevano, ricorda oggi la donna, portarle a una santità che nessuna di loro aveva chiesto.

La ex suora ricorda anche punizioni terribili come quella, racconta, di baciare per 50 volte il pavimento solo per aver canticchiato; oppure i pugni alla schiena che la superiora le dava per farla rimanere sveglia durante la messa in latino all’alba.

La prima violenza avviene però in Congo, dove Giusi viene inviata nel 1988, dopo 12 anni da caposala passati all’ospedale Santo Spirito di Roma. Il suo sogno è sempre stato quello di fare la missionaria in Africa, ma ben presto il tutto si trasforma in un incubo: inviata a recuperare dei farmaci terminati nell’ospedale per cui lavora, suor Giusi pernotta in una casa del suo ordine religioso dove vive un gruppo di preti e seminaristi, ma durante la notte viene violentata da un sacerdote. “Ricordo il dolore fisico, il dolore morale, il dolore di tutto – ricorda – e poi ero terrorizzata di essere rimasta incinta”.

Oggi, spiega, quel sacerdote è parroco in Belgio. Per lei, invece, le molestie continuano una volta tornata in Italia, quando riprende il suo post al Santo Spirito. Proprio lì, sul posto di lavoro, scopre anche alcuni imbrogli, che denuncia alla superiora. Una sera il padre provinciale insiste per darle un passaggio a casa, ma a un certo punto accosta con l’auto in una zona in penombra, e prova ad aggredirla. Lei si difende, lui si masturba e riprende a guidare. Come la prima volta, la religiosa non denuncia.

Non mi avrebbero creduta.

Solo dopo suor Giusi matura la decisione di scrivere una lettera anonima, e poi di andare dal padre generale; con il tempo, scopre che quel sacerdote aveva molestato molte altre donne, che aveva lasciato loro lividi e ferite, nel corpo ma soprattutto psicologiche. Eppure, al momento della morte per lui c’erano stati solo un bel funerale e parole di encomio, cosa che Giusi non si spiega.

Non mi do pace, io l’ho denunciato, altre donne lo hanno denunciato, i padri sapevano… E non hanno fatto niente.

Suor Giusi decide di denunciare un altro episodio, quello in cui un importante sacerdote, rettore di un’università cattolica, la fa entrare nel suo ufficio e le poggia la mano sul suo pene eretto. Quando deciderà di parlarne, si sentirà dire da un confratello della stessa congregazione di quell’uomo “Sappiamo, sappiamo…”.

Quelle parole, ‘sappiamo, sappiamo’, ce le ho ancora oggi nel cervello. Lo sapevano, perché non lo ha fatto solo con me.

Eppure, anche questo religioso è rimasto impunito, morendo serenamente nel suo letto. E suor Giusi ha un dubbio.

Se con me, che ero già affermata, ha osato tanto, non posso pensare cosa avrà fatto ad esempio alle novizie appena arrivate dall’India o dall’Africa a cui faceva da padre spirituale. Una di loro anni fa si è suicidata buttandosi dalla finestra, ho sempre pensato che l’avesse violentata.

Solo nel 2000 suor Giusi decide di andarsene, ma si vede negare tutto dal suo ordine religioso, persino i contributi dovuti.

Dopo 36 anni in convento, 12 ore al giorno di lavoro, avevano i miliardi e non mi hanno dato neanche un euro per comprarmi il primo vestito da laica a cinquant’anni.

Scrive persino una lettera a Giovanni Paolo II, a cui le superiore rispondono con una falsa lettera di accuse. “Tutti hanno fatto in modo che io non facessi uno scandalo”, spiega adesso. E, alla domanda sul perché non se ne sia andata prima, risponde: “Avevo fatto i voti davanti a Dio. In Dio ci credo. Prego a casa mia. Sento che lui è qui, molto più che da loro. Mi hanno fatto troppo male”.

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