All'ospedale di Torino ha infine aperto lo sportello antiabortista pagato con soldi pubblici

Le "femministe" non sono contrarie a fornire aiuto alle donne che vorrebbero figli ma si trovano costrette ad abortire, nessuno lo è. Le femministe sono contrarie a fornire soldi pubblici ad associazioni che nascondendosi dietro a retoriche apparentemente inattaccabili (ma effimere) riescono a inserirsi nelle strutture ospedaliere dove rischiano di minare la salute mentale di chi vorrebbe ricorrere all'IVG in santa pace, senza il giudizio di coloro che dichiaratamente considerano l'aborto un omicidio. Dove sarebbe rispettata la libertà delle donne in tutto ciò?

Nonostante le polemiche, lunedì 9 settembre ha aperto la tanto discussa “Stanza per l’ascolto” presso l’ospedale Sant’Anna di Torino. Questo sportello, gestito dal Movimento per la Vita, un’associazione cattolica antiabortista, è stato al centro di polemiche e contestazioni fin dalla firma della convenzione che ne ha permesso l’apertura.

Sostenuto dalla giunta regionale del Piemonte, il progetto si propone di fornire supporto alle donne che si trovano ad affrontare una gravidanza difficile, con l’obiettivo dichiarato di ridurre il ricorso all’aborto.

La convenzione è stata firmata tra il Movimento per la Vita e l’Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, uno dei principali poli sanitari pubblici italiani. L’iniziativa è finanziata attraverso il “Fondo vita nascente”, approvato dalla Regione Piemonte e dotato di oltre 1 milione di euro per il 2024.

Lo sportello è operativo su appuntamento e accoglie le donne che si rivolgono spontaneamente o che vengono indirizzate dal personale sanitario. Negli intenti dell’associazione, i volontari formati del Movimento per la Vita offrono ascolto e sostegno, e in alcuni casi assistenza materiale ed economica, con l’obiettivo di aiutare le famiglie che decidono di portare a termine la gravidanza.

Il supporto economico deriva in parte dal “Fondo vita nascente”, destinato all’acquisto di beni di prima necessità per neonati, come pannolini e latte in polvere.

Tuttavia, l’apertura dello sportello ha sollevato forti critiche da parte di gruppi femministi e associazioni per i diritti civili, che vedono nell’iniziativa una violazione della legge 194, che tutela il diritto all’aborto in Italia. La principale preoccupazione riguarda l’uso di fondi pubblici per finanziare un servizio gestito da un’associazione antiabortista, temendo che vengano impiegati per promuovere attivamente la visione del Movimento per la Vita, piuttosto che garantire la libertà di scelta delle donne.

Le tensioni si sono manifestate anche sul piano legale: nel 2023, il sindacato CGIL e il movimento femminista Se Non Ora Quando Torino hanno presentato un ricorso al TAR chiedendo la revoca dell’accordo, sostenendo che fosse in contrasto con i principi della legge 194. Il tribunale, tuttavia, ha respinto il ricorso d’urgenza, rimandando la decisione finale.

L’ospedale Sant’Anna, il primo in Italia per numero di parti, è anche il principale punto di riferimento per le interruzioni volontarie di gravidanza in Piemonte. Nel 2021 sono state effettuate circa 2.500 IVG, pari al 90% delle procedure svolte nella città di Torino e al 50% di quelle della regione. Questo rende ancora più delicata l’apertura di uno sportello che, secondo i critici, potrebbe minare l’accesso libero e sicuro all’aborto.

Nonostante le proteste, l’assessore regionale alle Politiche Sociali, Maurizio Marrone ha difeso l’iniziativa, smentendo “le opposizioni e le femministe che blateravano” e promuovendo questo sportello come un luogo dove le donne possono ricevere aiuti concreti per superare le cause che le potrebbero indurre a considerare l’interruzione della gravidanza.

In specifico ha dichiarato:

“Accedendo alla Stanza dell’ascolto siamo sicuri che tante donne o coppie in difficoltà potranno trovare una risposta da parte delle Istituzioni e dei volontari delle associazioni di tutela materno infantile. E infatti, nel programma del centrodestra abbiamo voluto annunciare che “vita nascente” diventerà una misura strutturale e gli interventi non riguarderanno più solo le donne in difficoltà socio economica, ma faranno parte di un articolato sistema di sostegno alla famiglia e alla libertà di non dover scegliere tra lavoro e genitorialità, con interventi a sostegno di tutte le madri le coppie e il loro bambini”.

L’intento, sulla carta, è nobile: sostenere chi non vorrebbe abortire ma si trova in difficoltà è un obiettivo ammirevole, ma è chiaro che bisogna calarlo nella realtà, dove la natura propagandistica di questo sportello risulta più evidente.

Facciamo due conti: secondo quanto rilevato da Bankitalia, il costo medio per crescere un figlio nel suo primo anno di vita è pari a  8.000 euro all’anno. L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori è meno ottimista: 9.750 euro. Prendendo in esame la stima più bassa e presupponendo (per iperbole) che l’intero budget di 1 milione di euro venga destinato in toto verso neo genitori bisognosi, significherebbe riuscire ad aiutare solo 125 donne delle 2500 che ricorrono all’IVG all’ospedale Sant’Anna. E questo per mantenere i figli solo fino al loro primo anno di vita. E poi?

Non si può pensare di risolvere le problematiche economiche di chi vorrebbe figli ma non può permetterseli con iniziative una tantum: servono riforme strutturali per l’intero Paese. Riforme che non facciano ricadere la cura dei figli solo sulle spalle delle donne, per non parlare della mancanza di una rete solida a supporto delle famiglie.

Non sarà uno sportello di antiabortisti a permettere alle donne di non essere più costrette a scegliere tra lavoro e genitorialità. È una promessa troppo grande per non credere che celi un’esagerazione consapevole.

Esagerazione che si fonda (e alimenta) l’idea che l’IVG sia sempre una scelta sofferta e che sia sempre compiuta da donne giovani, ingenue e in difficoltà economiche. Quando in realtà i dati dicono altro: la maggioranza delle donne che decidono di abortire sono già madri, per esempio.

Le “femministe” non sono contrarie a fornire aiuto alle donne che vorrebbero figli ma si trovano costrette ad abortire, nessuno lo è. Le femministe sono contrarie a fornire soldi pubblici ad associazioni che nascondendosi dietro a retoriche apparentemente inattaccabili (ma effimere) riescono a inserirsi nelle strutture ospedaliere dove rischiano di minare la salute mentale di chi vorrebbe ricorrere all’IVG in santa pace, senza il giudizio di coloro che dichiaratamente considerano l’aborto un omicidio.
Dove sarebbe rispettata la libertà delle donne in tutto ciò?

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