48 anni fa il massacro del Circeo, in cui tre ragazzi della “Roma bene” rapirono, stuprarono e torturarono per giorni due ragazze, uccidendone una.

Il processo a loro carico è il punto di partenza dell’omonima serie tv prodotta da Paramount+, Circeo appunto, in onda da stasera e per tre serate su Rai1; diretta da Andrea Molaioli, la serie in 6 episodi vede come protagonista Greta Scarano, nei panni dell’avvocata della sopravvissuta, Donatella Colasanti, Ambrosia Caldarelli ed Enrico Ianniello, ed è ispirata proprio alle fasi di un processo che scandalizzò l’Italia per l’efferatezza dei crimini raccontati.

La sera del 29 settembre 1975 tre ragazzi provenienti da agiate famiglie romane vicini ai gruppi neofascisti, Andrea Ghira, ventiduenne figlio dell’imprenditore edile e campione olimpico di pallanuoto Aldo Ghira, Angelo Izzo, ventenne studente di medicina (entrambi con precedenti penali per rapina a mano armata e stupro), e Giovanni Guido, detto “Gianni”, diciannovenne studente di architettura, sequestrano la diciassettenne Donatella Colasanti e la diciannovenne Rosaria Lopez, entrambe residenti nel quartiere popolare della Montagnola. Le ragazze avevano conosciuto Izzo e Guido nel settembre 1975, pochi giorni prima del crimine, grazie a un amico (risultato poi estraneo al massacro), che le aveva invitate a trascorrere un pomeriggio insieme al bar della torre Fungo dell’EUR.

Da lì l’invito a partecipare, assieme a una terza amica che all’ultimo diede forfait, alla festa a casa di Ghira. Questo il racconto di Donatella Colasanti riportato da La storia siamo noi:

Tutto è cominciato una settimana fa, con l’incontro con un ragazzo all’uscita del cinema che diceva di chiamarsi Carlo, lo scambio dei numeri di telefono e la promessa di vederci all’indomani insieme ad altri amici. Con Carlo così, vengono Angelo e Gianni, chiacchieriamo un po’, poi si decide di fare qualcosa all’indomani, io dico che non avrei potuto, allora si fissa per lunedì. L’appuntamento è per le quattro del pomeriggio. Arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo, dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… Ma a Lavinio non arrivammo mai. I due a un certo punto si fermano a un bar per telefonare a Carlo, così dicono; quando Gianni ritorna in macchina dice che l’amico avrebbe gradito la nostra visita e che andassimo pure in villa che lui stava al mare. La villa era al Circeo e quel Carlo non arrivò mai. I due si svelano subito e ci chiedono di fare l’amore, rifiutiamo, insistono e ci promettono un milione ciascuna, rifiutiamo di nuovo. A questo punto Gianni tira fuori una pistola e dice: ‘Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Jacques Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari’.

Il luogo dove le ragazze sono state portate è Villa Moresca, di proprietà della famiglia Ghira, a Punta Rossa, nel comune di San Felice Circeo in via della Vasca Moresca. Per più di un giorno e una notte le ragazze vengono violentate, seviziate, massacrate e insultate. In tutto questo, a un certo punto Guido tornò a casa, per cenare con i genitori, prima di far ritorno alla villa e proseguire con le sevizie.

Le ragazze vengono drogate, e Rosaria Lopez viene infine trascinata nel bagno al piano superiore della villa, per essere annegata nella vasca. La deposizione al processo di Donatella Colasanti è davvero da brividi, mentre ripercorre ciò che i suoi aguzzini le hanno fatto.

Ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un’altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all’improvviso. Devono averla uccisa in quel momento. Mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po’, e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: ‘Questa non vuole proprio morire’, e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l’ho fatto. Mi hanno messa nel portabagagli della macchina, Rosaria non c’era ancora, ma quando l’hanno portata ho sentito chiudere il cofano e uno che diceva: ‘Guarda come dormono bene queste due’.

I tre assassini chiudono entrambi i corpi nel bagagliaio di una FIAT 127 bianca e si dirigono verso Roma, con l’intenzione di disfarsi dei cadaveri. In macchina Colasanti sente la musica e le risate di Guido, Ghira e Izzo, sente le loro battute:

Zitti, che a bordo ci sono due morte.

Come dormono bene queste.

Alla fine l’auto viene abbandonata nel quartiere romano di Trieste, in viale Pola, e proprio lì Colasanti inizia a gridare e a sferrare colpi alla parete del bagagliaio, fino a quando, alle 22:50, un metronotte si accorge dei rumori e allerta la vicina volante dei Carabinieri.

Cigno, cigno… C’è un gatto che miagola dentro una 127 in viale Pola.

È l’allarme che viene lanciato dalla pattuglia, intercettato dal fotoreporter Antonio Monteforte che, intuendo che potesse trattarsi di qualcosa di “grosso”, si reca sul posto, immortalando poi il momento del ritrovamento di Donatella Colasanti (e del cadavere di Lopez), nella foto diventata anche il simbolo di quell’atroce massacro.

Izzo e Guido vengono arrestati quasi subito, mentre Ghira, allertato da una soffiata, si rende latitante, scrivendo agli amici una lettera, intercettata dagli inquirenti, in cui li rassicurava che sarebbero usciti entro poche ore per buona condotta, e che avrebbe ucciso Colasanti se avesse testimoniato contro di loro.

Il processo, dicevamo, fu uno dei più inquietanti della storia italiana, per la brutalità dei dettagli che ne uscirono e la spietatezza degli aguzzini; aiutata dal maresciallo Gesualdo Simonetti che guidò le indagini Colasanti fu in grado, pur con i traumi psicologici indelebili lasciati dai ricordi delle torture, di ricostruire le ore del massacro. In primo grado, il 29 luglio 1976, Izzo e Guido vennero condannati all’ergastolo senza alcuna attenuante, Ghira in contumacia (si venne poi a scoprire che quest’ultimo si era arruolato nella legione straniera spagnola, il Tercio, col nome di Massimo Testa de Andres, venendone espulso nel ’94 per abuso di stupefacenti, prima di morire a Melilla per overdose nello stesso anno).

La sentenza venne modificata in appello il 28 ottobre 1980 per Guido, venendo ridotta a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e l’accettazione di un risarcimento da parte della famiglia Lopez, mentre per Ghira e Izzo fu confermato l’ergastolo.

Guido riuscì a evadere dal carcere di San Gimignano il 25 gennaio 1981, e riuscì a fuggire prima a Buenos Aires, poi in Libano, infine a Panama, dove venne catturato nel 1994 ed estradato in Italia; Izzo, invece, scappò in Francia dopo un permesso premio il 25 agosto 1993, per essere catturato a Parigi ed estradato di nuovo nel nostro Paese.

Tuttavia, nel novembre del 2004 i giudici del tribunale di sorveglianza di Palermo gli concessero la semilibertà, e approfittando di questo regime, il 28 aprile 2005, rapì e uccise, con un complice, la quarantanovenne Maria Carmela Linciano e la quattordicenne Valentina Maiorano, moglie e figlia del pentito della Sacra Corona Unita Giovanni Maiorano. Fra mille polemiche legate alla decisione di concedere la semilibertà al killer, il 12 gennaio 2007 Izzo fu di nuovo condannato all’ergastolo per duplice omicidio premeditato, con una condanna confermata anche in appello.

Donatella Colasanti è morta il 30 dicembre 2005, all’età di 47 anni, a Roma, per un tumore al seno.

L’11 aprile 2008 Gianni Guido è stato affidato ai servizi sociali e infine, il 25 agosto 2009, è stato rimesso in libertà grazie all’indulto. Izzo si trova in carcere.

Nel 2020 la casa di Donatella Colasanti è divenuta un centro antiviolenza.

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