Caso Ciro Grillo, la ribellione della ragazza alle domande della difesa: "Mi viene da vomitare"

La ragazza, che aveva denunciato Ciro Grillo e i suoi amici per violenza sessuale nell'estate del 2019, si è detta disgustata dalle domande dell'avvocata della difesa, Antonella Cuccureddu: "Sono sfinita e di fronte a certe domande mi viene da vomitare".

Quel giorno mi sono sentita una preda, ma oggi sono sfinita e di fronte a certe domande mi viene da vomitare”, ha risposto così Silvia (nome di fantasia) alle domande dell’avvocata Antonella Cuccureddu, durante il processo per stupro contro Ciro Grillo e i suoi amici Francesco Corsiglia, Edoardo CapittaVittorio Lauria. I quattro erano stati denunciati per violenza sessuale dalla ragazza e da un’amica nell’estate del 2019, quando le due li incontrarono alla discoteca Billionaire di Porto Cervo per poi seguirli nella villa della famiglia Grillo, dove si sarebbero consumate le violenze.

Durante il processo che si sta tenendo presso il tribunale di Tempio Pausania, vicino a Sassari, la giovane donna si è quindi ribellata alle domande di Cuccureddu, avvocata di Corsiglia.

La legale avrebbe infatti chiesto alla giovane quali movimenti avrebbe fatto durante l’atto, ponendole domande come: “Perché non era lubrificata?”, oppure: “Come ha fatto Corsiglia a toglierle gli slip?”, “Perché non ha urlato?”, “Perché non si è divincolata?”, “Lei ha sollevato il bacino?”.

Quesiti che hanno fatto sbottare la giovane vittima, che ha risposto: “Se fossi riuscita a divincolarmi non avrei vissuto questa cosa, ca***”. “Quel giorno mi sono sentita una preda, ma oggi sono sfinita e di fronte a certe domande mi viene da vomitare”, ha poi aggiunto. Contrariato anche il legale Dario Romano, avvocato della ragazza assieme a Giulia Bongiorno, che ha commentato uscendo dall’aula: “Domande da Medioevo”.

I quesiti della difesa, del resto, sono esemplificativi di quello che avviene in molte aule di tribunale quando il crimine commesso è una violenza sessuale, e ricordano quelle del tristemente noto film documentario del 1979 Processo per stupro, dove si mostrava come i legali degli imputati fossero violenti nei confronti delle donne, trasformando il processo agli stupratori in un processo alle vittime.

Dopo oltre quarant’anni, il pensiero di fondo non è infatti cambiato: quando una donna viene stuprata, può interrompere la violenza sessuale se davvero lo vuole. Se ha reazioni diverse da quelle della vittima perfetta, se non urla e scalcia, allora, forse, non voleva così tanto sottrarsi all’atto. Ragionamenti, questi, che vogliono scovare, all’interno di un atto di prevaricazione, una sorta di consenso della vittima, e che si possono riassumere con la domanda che venne fatta in tribunale a Franca Rame dopo il suo stupro del 1973: “Signora, Lei ha goduto?”.

Appare poi strategica la scelta di mettere un’avvocata donna a difesa degli stupratori, come a volersi proteggere dalle accuse di sessismo in un processo che, come spesso accade, sarà un processo alla vittima, ai suoi movimenti e alle sue parole.

Mi creda, non si può obbligare una donna a un rapporto orale — e non le specifico come possa difendersi —, a meno che non abbia una pistola puntata alla tempia”, dichiara Cuccureddu fuori dall’aula. Parole che, ancora una volta, richiamano il processo per violenza sessuale ai danni della giovane Fiorella di Processo per stupro, nel quale l’avvocato Giorgio Zeppieri affermò: “Signori miei, una violenza carnale con fellatio può essere interrotta con un morsetto. L’atto è incompatibile con l’ipotesi di una violenza”.

Cuccureddu, nel frattempo, si difende: “Discutiamo di violenza sessuale e non c’è niente di intimo. Il processo si fa per capire se è stata una cosa intima o una violenza”. E, alla domanda su una possibile vittimizzazione secondaria della giovane italo-norvegese, ha risposto: “Il concetto di vittimizzazione parte dal presupposto che ci sia una vittima. Il processo si fa per accertare i fatti, che sono sequenze di condotte”. Dunque, ancora una volta: il processo è alla vittima e alle sue reazioni. Si cerca una falla nel modo in cui ha reagito, invece di analizzare il modo in cui lo stupratore ha agito.

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