"Civil War" e tutte quelle donne che hanno raccontato in prima linea la guerra

Lee Smith, la protagonista del film diretto da Alex Garland, si iscrive nel sentiero delle tante giornaliste e fotoreporter che dagli inizi del Novecento hanno preso a testimoniare le atrocità dei conflitti attraverso le proprie parole e le proprie immagini.

Se Marie Colvin, a cui è stato dedicato il bel biopic con Rosamunde Pike A Private War, diretto da Matthew Heineman, e Lee Miller, presto omaggiata sul grande schermo grazie all’attesissimo film diretto da Ellen Kuras, con Kate Winslet nei panni della leggendaria modella e fotografa, sembrano essere le figure a cui maggiormente si ispira l’immaginaria Lee Smith interpretata da Kirsten Dunst, in Civil War film scritto e diretto da Alex Garland, sono tante le reporter che hanno consacrato – e spesso immolato – la propria vita a raccontare in prima linea la guerra.

Qualche nome? Margareth Bourke-White, fotografa dai tanti record: prima donna a lavorare per il settimanale Life, prima straniera a fotografare in URSS, prima corrispondente di guerra per cui è stata disegnata una divisa militare; Gerda Taro, fotografa tedesca che durante la guerra civile spagnola perse la vita schiacciata da un carro armato tedesco; Martha Gellhorn, considerata una delle più autorevoli corrispondenti di guerra del XX secolo, testimone dei conflitti internazionali più importanti che hanno avuto luogo nel corso dei suoi 60 anni di carriera (e tra le tante cose, sposata per 5 anni con Ernest Hemingway); Clare Hollingworth, corrispondente britannica che per prima diede notizia dell’imminente invasione della Polonia da parte dell’esercito della Germania nazista

E ancora: Oriana Fallaci, prima italiana ad andare al fronte in qualità di inviata speciale (Miriam Leone, dopo il corto A cup of coffee with Marilyn di Alessandra Gonella, tornerà a vestire i panni della giornalista in Miss Fallaci, nuova serie tv in 8 episodi in onda prossimamente). E poi, più vicino a noi, Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, entrambe uccise in servizio, la prima nel 1994, a Mogadiscio, la seconda nel 2001, in Afghanistan; fino a Clarissa Ward, la corrispondente della CNN che dopo aver continuato per giorni, nel 2021, a coprire gli eventi nelle strade di Kabul, anche dopo l’arrivo dei Talebani, è stata la prima giornalista straniera a entrare nella Striscia di Gaza, nel dicembre del 2023.

Quando è iniziata la guerra Israele-Hamas in Medioriente, infatti, il governo di Netanyahu ha bloccato l’accesso ai media all’enclave, cosicché i giornalisti di Gaza sono stati gli unici a poter testimoniare e documentare le atrocità in corso (Secondo i dati dell’IFJ, l’International Federation of Journalists, sono già 13 le giornaliste che hanno perso la vita a Gaza. Altre sono esposte alla quotidiana mancanza di sicurezza e protezione).

Malgrado i pericoli, le donne non sono più considerate individui fragili e non adatti a raccontare le atrocità delle guerre: in tante hanno mostrato con l’esempio dei loro resoconti di torture, sessuali e non, sia a giornalisti maschi che femmine e, allo stesso tempo, come spesso essere donne dia accesso a luoghi vietati agli uomini. Sono lontani i tempi, insomma, in cui la diciannovenne Dorothy Lawrence era costretta a travestirsi da soldato per diventare corrispondente durante la Prima guerra mondiale e raccontare il conflitto dalle trincee.

Civil War film
Una scena di Civil War film diretto da Alex Garland (Courtesy Press Office)

Perché vedere Civil War film di Alex Garland

Ce ne fosse stato bisogno, Alex Garland con il suo Civil War arriva a smontare ulteriormente la vulgata secondo la quale la supposta suscettibilità femminile renda le reporter un “gentil sesso” poco avvezzo a testimoniare vicende belliche. La sua protagonista, Lee (una Kirsten Dunst davvero stupefacente per prova attoriale), e la sua alter-ego ventenne, Jessie (Cailee Spaeny, vista da poco in Priscilla di Sofia Coppola, col quale si è aggiudicata la Coppa Volpi per la migliore interpretazione, a Venezia) sono guidate entrambe dalla stessa brama di ottenere lo scatto del secolo, che sia un militante a cui viene dato fuoco in piazza o il Presidente ucciso dai miliziani: un senso del dovere distorto tanto quanto i loro colleghi maschi della carta stampata, a caccia dell’ultima storia che merita di essere raccontata.

Senza mostrare troppo delle cause che hanno portato alla guerra civile del titolo, il regista lascia che sia il pubblico a riempire i buchi, disseminando  qua e là qualche indizio che dia il contesto dentro il quale è divampato il conflitto: Texas e California sono alleati nel Fronte Occidentale contro il governo federale, in uno scontro dove pare non ci siano ideologie ma solo una corsa a dimostrare chi è più americano. A testimoniare i massacri, durante un viaggio di 800 miglia per arrivare da New York attraverso gli Stati Uniti orientali (Pennsylvania, West Virginia, Virginia) fino alla prima linea del fronte occidentale a Charlottesville e poi a Washington D.C,  dove intervistare il Presidente, ci sono due giornalisti, Joel e Sammy, e le due fotoreporter, appartenenti a tre generazioni diverse.

Produzione opulenta, forte dei suoi interpreti, Civil War può contare anche su una rappresentazione decisamente riuscita degli scontri, della paura, del caos e del sospetto continuo tra individui che si combattano senza sapere chi siano. “Che razza di americani siete?“, apostrofa i protagonisti l’inquietante militare in tuta mimetica e occhiali da sole rosa, a cuore, col volto di Jessie Plemons (nella vita, marito di Kirsten Dunst).

Splendidi i paesaggi attraversati dall’auto, protetta solo nominalmente dalla scritta Press, e la colonna sonora, eco lontana di un passato in cui il mito della bandiera a stelle e strisce era esaltato da ballate country, intrecciate in maniera sapiente ora con il rock, ora con il rap.

Ancor prima dell’uscita nelle sale, Civil War ha creato divisioni e opinioni contrastanti nel pubblico statunitense, seguite da polemiche e accuse di propaganda politica: che il filmmaker britannico, diventato celebre con il romanzo The Beach e la sceneggiatura di 28 giorni dopo (entrambi portati sul grande schermo da Danny Boyle), abbia voluto immaginare un possibile futuro che aspetta gli Usa con una probabile seconda vittoria di Donald Trump è tutto da dimostrare.

Certo è che quello che pare interessargli è mostrare cosa può succedere quando un Paese si avvia verso la propria distruzione, a prescindere dai motivi. E il senso di disagio che provoca con le sue immagini, potenti e coinvolgenti in massimo grado, non abbandonano a lungo dopo la visione – consigliatissima – del film, che resta, a ben guardare, un poderoso monito contro tutte le guerre.

Scheda del film con Kirsten Dunst

Scritto e diretto da Alex Garland, a cui si devono cult della fantascienza più recente come Ex Machina e Annihilation, Civil War immagina gli Stati Uniti devastati da una guerra civile: un gruppo di giornalisti, guidato dalla fotoreporter Lee (Kirsten Dunst) e dal reporter della Reuters Joel (Wagner Moura), attraversa città distrutte dal conflitto per raccontare in prima persona la caduta di Washington D.C. sotto i colpi delle armate del Fronte Occidentale.

Nel cast, anche Cailee Spaeny, nel ruolo della giovanissima Jessie, Stephen McKinley Henderson, che veste i panni di Sammy, anziano giornalista di ciò che resta del New York Times, Nick Offerman, interprete del Presidente.

L’autore della fotografia è Rob Hardy, assiduo collaboratore di Garland; Caty Maxey ha curato la scenografia, Meghan Kasperlik
i costumi, Jake Roberts il montaggio, Ben Salisbury e Geoff Barrow le musiche.

Presentato in anteprima mondiale ad Austin, in Texas, al South by Southwest il 14 marzo 2024, il film prodotto dalla A24 arriva nelle sale italiane il 18 aprile, distribuito da 01 Distribution.

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