Gli abusi che le donne subiscono online – in misura ben maggiore rispetto agli uomini – spesso raggiungono una crudeltà tale da spingere molti a chiedersi se questi abusi siano legati ai vari millenni di misoginia che ancora ci portiamo dietro come una malattia.

Monetizing Misogyny , lo studio pubblicato di recente da #ShePersisted , è il risultato di oltre due anni di ricerca sui modelli e le motivazioni della disinformazione di genere in diversi Paesi. Lo studio fornisce nuove riflessioni sul tema e una risposta chiara: il problema non risiede tanto nella misoginia di cui è ancora infarcita la società, quanto nella spinta alla monetizzazione a ogni costo da parte delle piattaforme digitali. Ma cosa si intende con questo?

Nel corso degli ultimi anni, riporta lo studio, molte donne leader in Ungheria, India, Italia, Brasile e Tunisia sono state vittime di orribili post sui social media – valanghe di odio, minacce e abusi – che mirano a indebolire non solo la credibilità delle donne che vengono attaccate, ma anche ciò che rappresentano: pari diritti delle donne e della comunità LGBTQ+, valori liberali e democrazie inclusive e diversificate.

Come notato da Karla Mantilla, il “gender trolling” online delle donne, in particolare oppositrici politiche e giornaliste, sta diventando una caratteristica sempre più comune dei movimenti di destra, che utilizzano questa strategia per metterle a tacere e “tenerle al loro posto”.

Nel 2018, Priyanka Chaturvedi, membro del parlamento indiano, ha presentato una denuncia alla polizia di Mumbai dopo aver ricevuto una minaccia di stupro online rivolta alla figlia di 10 anni. Chaturvedi non ha dubbi su chi ci sia dietro questi terribili attacchi: “Di solito, sono le ‘cellule informatiche’ – per lo più non ufficiali ma pienamente sostenute dal partito al governo – che prendono di mira le donne, specialmente le donne dell’opposizione. Questi attacchi sono frequenti e ben orchestrati, e non è insolito che anche i politici, persino i ministri di gabinetto siano autori di questo tipo di attacco”.

Molte giovani donne in tutto il mondo sono scoraggiate dal prendere in considerazione una carriera politica a causa della misoginia online e della disinformazione di genere. Il problema maggiore sono le principali piattaforme digitali, in gran parte responsabili dell’inferno attualmente vissuto dalle donne online.

Le campagne d’odio verso di loro vengono potenziate e amplificate attraverso algoritmi che rendono tali contenuti virali, attraverso sistemi di raccomandazione che ne facilitano la distribuzione rapida e capillare. I contenuti sessisti e oltraggiosi generano coinvolgimento e profitti per le piattaforme.

“L’odio è il loro modello di business: stanno armando e monetizzando l’odio, a scapito della coesione sociale e della democrazia”, ha detto il giornalista indiano Swati Chaturvedi.

Per superare questo problema c’è bisogno di una maggiore trasparenza riguardo le politiche di gestione dei contenuti dei social media. Il Digital Services Act (DSA), approvato dall’UE lo scorso anno, va nella giusta direzione, stabilendo obblighi per piattaforme come Google e Meta (Facebook) in grado di mitigare i rischi che i loro servizi creano per la società.

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