Gli episodi di violenza di genere, e di stupro, sono purtroppo un fenomeno diffuso in tutta Europa, motivo per cui nel 2022 la Commissione europea ha lanciato una proposta per redigere una direttiva mirata proprio a criminalizzare i rapporti sessuali non consensuali uniforme in tutta la UE.

Peccato, però, che la proposta sia arenata da mesi a causa della difficoltà di trovare una definizione unanime di “stupro”. La direttiva della Commissione lo caratterizzava come “sesso non consensuale”, basandosi sul concetto che “solo sì significa sì”; ma la definizione non ha trovato l’accordo di alcuni Paesi, tra cui Francia, Germania, Ungheria, Polonia, Paesi Bassi e Repubblica Ceca.

La Francia, ad esempio, Paese molto avanti rispetto alla tutela dei diritti delle donne, tanto da aver catalogato il catcalling come reato e da aver proposto di inserire la legge sull’aborto nella propria Costituzione, è tuttora legata a una definizione molto meno generica di stupro, e spiega che definirlo un mero atto sessuale “non consensuale” avrebbe come conseguenza di danneggiare chi lo denuncia, visto che provare la mancanza di consenso esplicito è molto più complicato rispetto al provare di aver subito minaccia o coercizione.

Ma la contrarietà di Macron e del ministro della Giustizia tedesco, Marco Buschmann, ha deluso molto l’europarlamentare svedese Evin Incir, fra i negoziatori per il Parlamento europeo sul dossier, che a Euronews si è detta piena di disappunto per il fatto che i due rappresentanti appoggino la medesima posizione del molto meno liberale presidente ungherese Viktor Orbán, attualmente nell’occhio del ciclone in Italia per il trattamento riservato nelle carceri di Budapest all’italiana Ilaria Salis.

“È al di là della mia comprensione come due uomini liberali possano stare mano nella mano con un illiberale – ha dichiarato Incir – Mi aspetto questo da Orbán, ma non da Macron o Buschmann. E, invece, la realtà ci dice che ci sono tre uomini che stanno decidendo il futuro delle donne e delle ragazze. Bloccare questa storica opportunità di eguagliare la protezione delle donne dallo stupro è un errore che non possiamo permetterci – ha aggiunto l’europarlamentare – spero che gli Stati membri trovino la volontà politica di cambiare posizione all’ultimo minuto. Hanno ancora la possibilità di passare dal lato giusto della storia e di difendere le donne e le ragazze in tutta la nostra Unione”.

Anche l’associazione European Women’s Lobby ha definito il veto francese e tedesco “vergognoso e ipocrita”, soprattutto alla luce del fatto che entrambi i Paesi abbiano aderito alla Convenzione di Istanbul, che definisce lo stupro proprio come caratterizzato da assenza di consenso.

In realtà, però, quello del consenso, o meglio della definizione palese di stupro come di “rapporto non consensuale”, è un problema che esiste, tanto che anche l’articolo 609 bis del nostro Codice Penale, proprio quello che regolamenta la violenza sessuale, non ne fa menzione, limitandosi ai soli casi in cui la persona sia costretta al rapporto, oppure ingannata.

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Tra le aggravanti, descritte nell’articolo 609 ter, c’è quella che parla di rapporti avuti

Con l’utilizzo di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa.

Il concetto di consenso è sottinteso, negli articoli del nostro Codice Penale, ma mai esplicitato, e forse proprio qui sta il nodo della questione. La proposta della Commissione vorrebbe renderlo evidente, ma secondo alcuni degli Stati oppositori il rischio sarebbe poi quello di rendere più complesso, per chi intende denunciare, far valere le proprie ragioni.

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