L'Europa vota per lo stop al gas russo: cosa significa per l’Italia
L'Europa ha dato il suo sì per l'embargo al gas russo. Ecco cosa potrebbe significare nel breve e medio periodo per l'Italia.
L'Europa ha dato il suo sì per l'embargo al gas russo. Ecco cosa potrebbe significare nel breve e medio periodo per l'Italia.
Con 513 voti a favore, 22 contrari e 19 astenuti il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione per chiedere ulteriori misure punitive nei confronti della Russia, compreso “un embargo completo ed immediato delle importazioni russe di petrolio, carbone, combustibile nucleare e gas”.
Nel dettaglio l’emendamento sullo stop alle forniture del gas naturale e sull’abbandono dell’utilizzo dei gasdotti Nordstream 1 e 2 è stato approvato con 413 voti a favore, 93 contrari e 46 astensioni.
Già nelle scorse ore il premier Mario Draghi aveva fatto sapere che l’Italia si sarebbe allineata in tutto e per tutto alle decisioni europee, e in effetti l’intera rappresentanza italiana all’Europarlamento ha votato a favore dell’embargo, con le sole eccezioni dell’ex leghista Francesca Donato e di Carlo Calenda.
Cosa può significare nella pratica questo per il nostro Paese? Secondo un articolo di Repubblica dell’11 marzo 2022 l’Italia importa dalla Russia 5,6 Mt di greggio, ed è all’ottavo posto fra i Paesi europei. Per quanto riguarda il gas, invece, un altro articolo di Repubblica spiega che nel 2021 abbiamo importato 29,07 miliardi di metri cubi di gas naturale, il 38,2% del gas che consumiamo complessivamente. La Russia è quindi il nostro principale fornitore, motivo per cui più d’uno, alla luce dei recenti sviluppi, si chiede quali saranno le conseguenze per la nostra economia, anche domestica.
In questo senso il DEF, Documento di Economia e Finanza, ha analizzato quattro possibili scenari che potrebbero profilarsi prossimamente nel nostro Paese.
Un primo scenario ipotizza che le aziende del settore sarebbero in grado di assicurare le forniture di gas necessarie al Paese grazie ad un incremento delle importazioni dai gasdotti meridionali, un maggior utilizzo di LNG (la capacità di rigassificazione aumenterebbe sensibilmente già nel 2023) e un aumento, inizialmente modesto ma crescente nel tempo, della produzione nazionale di gas naturale e biometano.
Si legge nel documento.
Tuttavia, in presenza di analoghi sforzi di diversificazione degli approvvigionamenti da parte degli altri Paesi europei, si assisterebbe a un rialzo dei prezzi molto superiore a quello incorporato nelle esogene del quadro macroeconomico tendenziale. Il prezzo del gas sul mercato all’ingrosso nazionale, che a fine marzo trattava a circa 100 €/MWh, seguirebbe un sentiero più elevato rispetto agli attuali prezzi a termine, portandosi in media al di sopra di 200 €/MWh del periodo novembre 2022-febbraio 2023 (contro una media di 90,8 €/MWh nel periodo novembre 2021-febbraio 2022). Nei mesi successivi e fino alla fine del 2023, il prezzo sarebbe pari a circa il doppio degli attuali livelli dei futures sulle scadenze corrispondenti.
Il secondo scenario di rischio considerato ipotizza che non tutte le azioni intraprese per diversificare gli approvvigionamenti di gas producano i risultati desiderati per via di problemi tecnici, climatici e geopolitici, e che anche gli altri Paesi UE si trovino a fronteggiare carenze di gas. Per l’Italia si ipotizza una carenza di gas pari al 18 per cento delle importazioni in volume nel 2022 e al 15 per cento delle importazioni nel 2023.
In questo scenario, i prezzi del gas e dell’elettricità sono ipotizzati ancor più elevati in confronto al primo scenario di rischio, in misura pari in media al 10 per cento. Gli impatti sul PIL sono stati stimati tramite una simulazione a due stadi. Nel primo stadio si è stimato, come nel primo scenario, l’impatto del rialzo dei prezzi di gas, elettricità e petrolio sull’attività dei settori economici, il PIL e i consumi di gas. Nel secondo stadio, una volta ottenuta una stima della conseguente caduta della domanda nazionale di gas, si è calcolata la quota parte di consumi di gas da razionare per arrivare al calo complessivo delle importazioni ipotizzato e si è quindi stimata l’ulteriore discesa del PIL necessaria a generare tale calo.
Come nella precedente simulazione, si è inoltre tenuto conto del calo di attività nei Paesi di destinazione dell’export italiano.
I risultati della simulazione mostrano una caduta del PIL in confronto allo scenario tendenziale di 2,3 punti percentuali nel 2022 e 1,9 nel 2023.
Uno scenario riguarda però anche l’inflazione:
Nello scenario più negativo, l’inflazione nell’area dell’euro arriverebbe al 7,1 per cento nel 2022, per poi scendere al 2,7 nel 2023 e tornare al di sotto del 2 per cento nel 2024. In tale scenario, il tasso d’inflazione risulta due punti più alto rispetto a quello base e l’effetto è guidato da un incremento maggiore e più prolungato dei prezzi delle materie prime, con l’assunzione di una più elevata elasticità dei prezzi rispetto ai tagli dell’offerta e minori compensazioni.
Nell’area dell’euro l’inflazione ha raggiunto il 5,9 per cento in febbraio, spinta principalmente dal comparto energetico, che ha risentito degli incrementi del gas e delle tariffe dell’elettricità. Anche il comparto alimentare ha registrato sensibili rialzi, salendo a febbraio del 4,2 per cento. L’inflazione di fondo risulta sopra il target della BCE, al 2,7 per cento.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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