Se ne parla poco. Eppure la Sindrome feto-alcolica è una realtà. Lo dicono i numeri. Per sensibilizzare i futuri genitori è stata istituita una Giornata mondiale. E per lo meno ogni 9 settembre vengono snocciolati i dati. Si stima che circa il dieci per cento delle donne a livello mondiale assuma alcol in gravidanza e che in media circa 15 bambini su dieci mila nati in tutto il mondo siano colpiti da sindrome feto-alcolica e da spettro dei disordini feto-alcolici (Fetal Alcohol Sindrome FAS/Fetal Alcohol Spectrum Disorder FASD): disabilità permanenti di tipo fisico, mentale e comportamentale con implicazioni a lungo termine provocate sul feto dall’alcol gestazionale.

I dati, pubblicati sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, parlano chiaro: l’assunzione di alcol nuoce, troppo spesso in modo irreversibile, sul feto in gravidanza. Simona Pichini, prima ricercatrice e Direttrice dell’Unità di Farmacotossicologia analitica dell’ISS e coordinatrice del progetto pilota Prevenzione, Diagnosi precoce e trattamento mirato di FASD e FAD, promosso dal ministero della Salute e affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’ISS, spiega nel dettaglio, come si legge sulle news del sito dell’ISS:

“L’alcol attraversa facilmente la placenta. Il feto è quindi esposto allo stesso livello di alcol presente nel sangue della madre. Tuttavia il fegato fetale ha poca o nessuna capacità di metabolizzare l’alcol che interferisce con la divisione cellulare e ne inibisce la crescita, provocando danni a molti organi, principalmente al cervello. Tanto che la FAS rappresenta la prima causa conosciuta di ritardo mentale nel bambino e poi nell’adulto”.

Il progetto, iniziato nel 2019 e in corso fino alla fine del 2021, ha coinvolto cinque regioni (Lazio, Marche, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia) con gli obiettivi di monitorare il consumo di alcol in gravidanza e la conseguente esposizione fetale. Si propone inoltre di informare sui rischi dell’alcol in gravidanza e formare operatori sanitari e assistenti sociali soprattutto sulla prevenzione, la diagnosi e il trattamento di questa Sindrome. Pichini ha aggiunto:

“FAS e FASD sono però patologie completamente prevenibili evitando, come raccomanda l’Alleanza Europea per la Sindrome feto-alcolica, il consumo di alcol durante la gravidanza, nei momenti appena precedenti ad essa quando si desidera avere un figlio e anche se si è ad alto rischio di gravidanza non pianificata. Non bisogna bere meno o bere poco, bensì non bere affatto. Dal momento, infatti, che non esiste una dose sicura da assumere durante la gravidanza, l’astinenza è l’unica indicazione da dare e seguire”.

In alcune regioni europee, soprattutto nell’est Europa, circa un quarto di donne consuma alcol in gravidanza, con una conseguente maggiore prevalenza della FAS, da due a sei volte superiore alla media mondiale. Non esistono invece, dati italiani circa l’incidenza della FAS e FASD. Per questo, il progetto dell’ISS è articolato in tre punti:

  1. Il monitoraggio del reale consumo dell’alcol in gravidanza mediante la determinazione del biomarcatore dell’alcol: l’etilglucuronide (EtG) nei capelli delle gestanti in associazione a un questionario sulle abitudini del bere in gravidanza e il monitoraggio della reale esposizione prenatale mediante la determinazione dell’EtG nel meconio neonatale, le feci che si formano e accumulano nell’intestino fetale nel secondo e terzo trimestre di gravidanza.
  2. La diffusione dell’informazione attraverso la divulgazione di strumenti informativi e operativi sul territorio nazionale per promuovere la prevenzione di FAS e FASD alle donne in gravidanza e i loro partner utilizzando interventi nelle donne gravide, tra chi desidera avere un figlio e in coloro che si dichiarano bevitrici o in coloro in cui si ha il sospetto che lo siano.
  3. La formazione, anche con corsi a distanza sui rischi del consumo di alcol in gravidanza e sulla FASD e FAS per ginecologi, ostetriche/ci, neonatologi, pediatri e infermieri e per psicologi, psicoterapeuti, su come intervenire con pratiche psicosociali, cognitivi e comportamentali sui neonati risultati esposti.

In Italia purtroppo esistono solo studi locali su piccoli campioni di gestanti, che includono un numero limitato di donne intervistate dopo il parto in città selezionate, e quindi non rappresentativi della popolazione generale. I dati ottenuti tramite questionari non possono considerarsi validi al 100 per cento: l’autovalutazione è spesso imprecisa a causa dei sensi di colpa, della paura di perdere la custodia dei figli o semplicemente dell’incapacità di ricordare con precisione i tempi o l’entità del consumo di alcol.

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