Si avvicina l’anniversario dell’inizio delle proteste in Iran, ma la repressione non accenna a terminare: ne è una prova la testimonianza della giornalista Nazila Maroufian, la quale ha dichiarato, in alcune registrazioni audio, di essere stata violentata dalle forze di sicurezza iraniane mentre era in custodia.

Già conosciuta per essere stata arrestata più volte dall’inizio delle agitazioni nel Paese, la scorsa settimana la giovane è stata nuovamente incarcerata per aver manifestato il suo supporto per Mehdi Yarrahi, imprigionato dal regime dopo aver pubblicato il brano Il tuo velo, una canzone contro l’hijab obbligatorio e a supporto delle proteste.

Ora, dal carcere di Evin, a Teheran, dove è detenuta, arrivano degli audio che raccontano cosa le è successo durante il suo arresto. “Rivelo questo abuso per me stessa e per tutte le donne che sono state soggette a violenza fisica e abusi sessuali durante il loro arresto, in stazioni di polizia e prigioni, e hanno paura di parlarne”, riporta il Fatto Quotidiano. L’audio, disturbato, è stato ricondiviso da diversi attivisti, e ha subito fatto il giro dei social.

La giornalista, con voce tremante e in evidente stato di shock, ha anche annunciato che inizierà uno sciopero della fame per protestare contro la sua situazione: “Questo sciopero è per me, ma è anche per tutte le donne in condizioni terribili in Iran. Quella della violenza è una realtà e chiunque non ne parli ha le sue ragioni per avere paura, ma durante gli interrogatori e nelle stazioni di polizia, le persone vengono aggredite verbalmente e sessualmente”, afferma.

Nazila Maroufian era stata arrestata la prima volta per aver intervistato il padre di Mahsa Amini, la giovane curda uccisa dalle forze di Ali Khamenei per non avere indossato correttamente l’hijab, episodio dal quale avevano avuto origine le proteste in Iran. Poi, nel giugno 2023, l’ultimo arresto, per non aver rispettato la legge sul velo obbligatorio. La giovane era poi stata rilasciata su cauzione, e aveva postato su Twitter una foto senza hijab.

La giovane però non è sola, nel carcere di Ervin, che si è guadagnato la fama di essere la prigione più temuta del Paese. Lì, infatti, sono imprigionati diversi dissidenti, tra i quali Niloufar Hamedi, la giornalista che per prima aveva denunciato il caso Mahsa Amini, e la reporter Elahe Mohammadi, accusate di propaganda contro lo Stato e cospirazione contro la sicurezza nazionale. Diversi osservatori internazionali, tra cui Amnesty International, denunciano inoltre un ‘ennesima morte, quella del giovane attivista Javan Rouhi, torturato mentre era in prigione per aver partecipato alle proteste, e deceduto il 1° settembre scorso.

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