In ricordo della giornalista Lea Schiavi, assassinata a 35 anni
Perché non dobbiamo dimenticare Lea Schiavi, la giornalista di guerra uccisa in Azerbaijian nel 1942 dopo una vita di lotte contro il fascismo
Perché non dobbiamo dimenticare Lea Schiavi, la giornalista di guerra uccisa in Azerbaijian nel 1942 dopo una vita di lotte contro il fascismo
Una storia poco conosciuta ma che non dovremmo mai dimenticare: quella della giornalista antifascista Lea Schiavi, uccisa il 24 aprile del 1942 a soli 35 anni nell’Iran settentrionale, in prossimità di Tabriz.
Una figura molto importante, nell’Italia della Seconda Guerra Mondiale, ma che “per il suo Paese, per l’Italia, è invece come se non avesse vissuto, come fosse mai esistita”, ha dichiarato Massimo Novelli, uno scrittore e giornalista torinese che a ottant’anni dalla morte della giornalista l’ha ricordata nel suo libro Il caso Lea Schiavi. Indagine sull’omicidio di una giornalista antifascista, edito da Graphot Editrice.
Donna forte, allegra, determinata e profondamente antifascista, Schiavi lasciò presto gli studi all’età di soli 16 anni, quando decise di allontanarsi da casa per cercare la sua libertà. Dopo aver lavorato in un negozio di dolciumi e in una farmacia, finalmente riesce a realizzare il suo sogno, diventare una giornalista.
Negli anni ’30, sebbene fosse una donna, riuscì a farsi spazio con forza sugli importanti mezzi di comunicazione dell’epoca. I suoi articoli furono pubblicati su giornali importanti di quel periodo, come i quotidiani L’Impero e Il Tempo, il rotocalco il Milione e Omnibus, di Leo Longanesi.
Con l’avvento del fascismo in Italia, Schiavi dimostrò più volte la sua avversione al regime. Una volta, in un ristorante, definì “il Duce un muratore e il Fuhrer un imbianchino”, secondo i verbali di polizia dell’epoca.
Nel 1939 cominciò a viaggiare come cronista di guerra nei Balcani e successivamente a Bucarest, Sofia e Belgrado. Qui scrive reportage sulla situazione dei civili e dei soldati. I suoi articoli sono sottoposti alla censura fascista e così attira sempre più l’attenzione del SIM (servizio segreto militare). Le venne perfino confiscato il passaporto.
Schiavi diventò sempre più attiva nel movimento antifascista e alla fine si unì al Free Italy Movement, rimanendo in contatto con gli italiani di Radio Londra. Si recò, nel corso degli anni, anche in Turchia, Siria, Iran, Azerbaigian e Kurdistan, Paesi sempre in lotta a causa dei giacimenti petrolieri occupati dai britannici e dai sovietici. Fu l’Iraq l’ultimo Paese in cui fece un reportage, pubblicato postumo dopo il suo omicidio tra le montagne dell’Azerbaijian per mano dei sicari curdi.
Un grande mistero circonda ancora oggi la sua morte. Il marito di Lea, Burdett, con cui si era sposata a Sofia, si convinse che il mandante dell’omicidio della moglie fu il colonnello dei Carabinieri Ugo Luca, un funzionario dell’intelligence fascista.
In due occasioni, in presenza di testimoni, affermò di essere stato lui l’organizzatore dell’assassinio di Lea. Tuttavia, durante il processo, un testimone smentì le sue dichiarazioni. È interessante notare che Ugo Luca si trovava nel Kurdistan proprio nel 1942. Successivamente si avvicinò alla Resistenza e fu prosciolto dall’accusa dell’omicidio di Lea Schiavi dal Tribunale di Roma.
Un assassinio irrisolto, quello di Schiavi, che ogni anno (dal 1996) viene ricordata al Memoriale dei Giornalisti del Freedom Forum al Newseum di Washington, durante il quale si commemorano i numerosi reporter di guerra uccisi mentre svolgevano il loro lavoro.
Giornalista sulle nuvole, i miei grandi amori sono i libri, il cinema d'autore e gli animali. Sepulveda e Tarantino: le mie ossessioni.
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