Allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi. Poi, in abbinamento ai cibi solidi almeno fino ai due anni. E anche dopo, se la mamma e il bambino lo vogliono. Le linee guida dell’OMS sull’allattamento al seno sono chiarissime. Ma tengono conto delle condizioni reali in cui vivono le madri?

Dopo quasi dieci anni, all’inizio di luglio anche l’American Academy of Pediatrics ha aggiornato le linee guida sull’allattamento al seno, suggerendo di aumentare la durata a due anni o più (in precedenza era un anno o più). Senza voler notare il tempismo sospetto dopo la crisi del latte artificiale che ha colpito gli USA da qualche mese, dice Jessica Grose sul New York Times, rilasciare le nuove linee guida pochi giorni dopo il ribaltamento di Roe v. Wade, quando milioni di donne americane sono allarmate per le restrizioni alla loro autonomia riproduttiva e fisica, è stata una mossa che è sembrata senza alcuna spiegazione e persino crudele.

Questo perché non solo la supplementazione di formula – che deve essere «scoraggiata» nelle prime settimane dopo la nascita secondo le linee guida – potrebbe essere necessaria in alcuni casi specifici, ma anche e soprattutto perché a mancare sono le condizioni socioeconomiche per permettere a tutte le donne di poter allattare per un periodo così lungo. In un Paese in cui non esiste il congedo di maternità retribuito e il 25% delle madri – 1 su 4 – torna al lavoro appena due settimane dopo il parto, infatti, mancano congedi parentali, orari di lavoro flessibili e servizi di assistenza all’infanzia sul posto di lavoro.

Il PUMP Act, la legge volta ad allargare le protezioni sul posto di lavoro per l’allattamento, non è stata approvata in Senato subito prima che Roe v. Wade cadesse. Questo significa che negli USA nove milioni di donne in età fertile sono escluse dalle protezioni federali per l’allattamento sul posto di lavoro. Insegnanti, infermiere, lavoratrici agricole e molte altre non hanno il diritto di fare pause di lavoro per tirare il latte, nonostante le linee guida raccomandino esplicitamente di rendere universale la pausa dedicata al tiraggio del latte in uno spazio privato. Qualcosa che, conclude Grose, l’Accademia di pediatria dovrebbe sapere essere fuori portata nel prossimo futuro.

In Italia, la situazione è un po’ diversa. Le neo-mamme (in alcuni casi anche i neo-papà) e i loro bambini, infatti, hanno diritto a una serie di tutele subito dopo la nascita e durante l’allattamento: non solo i cinque mesi di maternità retribuita, ma anche undici mesi di congedo parentale – che possono essere presi dalla mamma o dal papà, anche in maniera cumulativa – e i permessi per allattamento, cioè due ore al giorno (una se si lavora meno di 6 ore al giorno) di permesso per allattare nel primo anno di vita, che possono essere richieste dal padre se la madre fa esplicita rinuncia.

Ma questi strumenti bastano a sostenere le madri che vogliono allattare? No, almeno stando a quanto dicono i dati. Secondo l’ISTAT le donne che allattano i loro bambini esclusivamente al seno sono troppo poche: tra il terzo e il sesto mese di vita del piccolo, sono appena al 6%, mentre nello stesso periodo aumenta la percentuale di chi utilizza un’integrazione con formula artificiale. Si tratta di un calo che non è casuale: a influenzare la scelta di molte madri, infatti, è la necessità di dover tornare al lavoro.

Anche se la legge cerca di tutelare le donne, la realtà è molto più complessa e ai dettami della legge si sostituisce una quotidianità fatta di difficoltà a sfruttare concretamente le possibilità offerte, la paura che continuare ad allattare lavorando possa essere complicato e faticoso – perché lo è, richiedendo un grande sforzo fisico e organizzativo – e anche un’idea radicata che oltre una certa età sia necessario smettere di allattare il bambino perché ormai grande e «sennò lo vizi». Un pensiero diffuso non solo tra chi non riesce a trattenersi dal fare commenti e domande inopportune sulla genitorialità altrui, ma anche tra molti pediatri vecchio stampo che, in barba alle direttive più recenti, suggeriscono lo svezzamento precoce a partire da 4 mesi e invitano a «togliere la tetta» non solo prima dei due anni, ma anche ben prima del primo anno.

La realtà è che l’allattamento al seno può fare male, e non solo in senso fisico. Le misure di legge possono aiutare a tamponare una situazione problematica, ma la realtà è che non solo l’assenza di reali strumenti a tutela della maternità e dell’allattamento finisce per sfavorire chi madre non è – da cui ci si aspetta disponibilità illimitata – ma che per conservare il lavoro, o per trovarlo, molte donne sono costrette a rinunciare ad allattare.

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