Bisogna parlare di Maysoon Majidi fuggita dal regime iraniano e incarcerata in Italia

L'attivista 27enne Maysoon Majidi, che da anni lotta per i diritti delle donne in Iran, è stata costretta a fuggire dal suo Paese ma è stata arrestata in Calabria con l'accusa di scafismo. Ad accusare lei e la sua connazionale Marjan Jamali sarebbero state alcune persone che avevano effettuato l’ultimo tratto di viaggio in barca insieme a loro, tra cui alcuni uomini che avrebbero cercato di stuprare quest'ultima, scomparsi poco dopo lo sbarco.

La 27enne attivista per i diritti umani curda, artista e regista Maysoon Majidi, si trova al centro di una battaglia disperata per la libertà. Originaria di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, Majidi ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti delle donne e delle minoranze oppresse in Iran. La sua determinazione e fedeltà alla causa l’hanno portata a scontrarsi con le autorità iraniane, che hanno reagito con durezza, costringendola a fuggire dal Paese per cercare asilo in Europa.

Majidi è stata però arrestata al confine italiano il 31 dicembre 2023, dopo un lungo e pericoloso viaggio che l’ha portata dalla regione autonoma curda all’Italia, passando per la Turchia. Da allora, è detenuta nella prigione di Castrovillari (Calabria) accusata – secondo molte persone e Ong ingiustamente – di essere una ‘scafista’ coinvolta nel traffico di esseri umani. Sorte simile è toccata a Marjan Jamali, anche lei iraniana, anche lei arrivata nel 2023, ma attualmente agli arresti domiciliari.

Come dichiara Amnesty International:

L’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare nei confronti delle due donne è stata avanzata sulla base di testimonianze di persone che avevano effettuato l’ultimo tratto di viaggio in barca insieme a loro, che avevano riferito la partecipazione di Maysoon alla distribuzione di cibo e acqua a bordo; mentre le accuse riguardanti Marjan provenivano dagli stessi uomini che, nel racconto della donna, avrebbero tentato una violenza nei suoi confronti. Tali testimoni sono stati interrogati nei concitati momenti dopo l’approdo, ma non è stato possibile un controesame delle loro affermazioni perché sono scomparsi poco dopo lo sbarco.

Per protestare contro la sua detenzione prolungata e le ingiustizie subite, Majidi ha iniziato uno sciopero della fame il 27 maggio 2024. La sua salute è rapidamente peggiorata ed è arrivata a pesare solo 38 kg. Le sue condizioni fisiche e psicologiche destano chiaramente grande preoccupazione tra i sostenitori e le organizzazioni per i diritti umani, che hanno lanciato appelli urgenti per il suo rilascio e la concessione dello status di rifugiata.

Maysoon versa in uno stato di profonda depressione e grave debilitazione fisica a causa della significativa perdita di peso, un aspetto che ha destato preoccupazione tra i suoi sostenitori. Nonostante la sua condizione critica, le è stata negata la possibilità di ricevere la visita della psicologa di sua scelta.

Lo scorso 18 luglio si è tenuta una conferenza nella sala stampa della Camera dei Deputati durante la quale si è chiesta la liberazione di Majidi, in vista del giudizio del 24 luglio, al seguito del l’Associazione Unione Donne Italiane e Kurde ha dichiarato:

Come associazione che si riconosce nei principi costituzionali e quindi nei valori della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia, della solidarietà e della pace, e che conseguentemente pone in essere iniziative e progetti di solidarietà a favore delle donne, in particolare delle donne kurde, intendiamo esprimere la massima condanna alla decisione del processo che si è tenuto a Crotone il 24 luglio: i giudici hanno vergognosamente rigettato per la terza volta, la richiesta dell’ avvocato di Majidi Maysoon, attivista curdo-iraniana, reporter e sceneggiatrice, di revocare la custodia cautelare sostituendola con quella degli arresti domiciliari o di ottenere la liberazione, dopo sei mesi di reclusione .

Tra i sostenitori e le sostenitrici della causa di Maysoon Majidi e Marjan Jamali ci sono anche Laura Boldrini e Marco Grimaldi, che hanno sollevato interrogazioni parlamentari sul suo caso, Riccardo Noury di Amnesty International Italia, Ferdinando Laghi, consigliere regionale della Calabria, e Parisa Nazari, un’attivista del movimento “Donna vita libertà”. Già durante la conferenza del 18 luglio si era sottolineata l’urgenza di un intervento umanitario per migliorare le condizioni di detenzione di Maysoon e garantire che le sue fondamentali esigenze mediche e psicologiche siano rispettate.

Ora la situazione è ancora più drammatica, e ci si appella al grido d’aiuto lanciato dalla stessa Maysoon dal carcere:

Che ci faccio io qui? Ogni volta che, attaccata alla bombola di ossigeno, lotto per la sopravvivenza affrontando gli attacchi di panico. Ogni volta che perdo i sensi e cado per terra ma cerco di rimanere vigile mentre mi dico che sono dalla parte della ragione e non devo farmi ingannare dall’effetto dei tranquillanti, è questa la domanda che si ripete continuamente nella mia testa: che ci faccio qui? Perché sono venuta qui?.

Per quanto riguarda la storia di Marjan Jamali, 29enne fuggita dalla repressione del regime in Iran, è simile: accusata di essere una scafista e inizialmente incarcerata pochi giorni dopo il suo arrivo a Roccella Ionica il 26 ottobre 2023, dopo alcuni mesi le sono stati concessi i domiciliari a Camini (Reggio Calabria). Da pochi giorni Marjan Jamali è stata trasferita a Bari.

In tutti noi il dolore prevale sulla rabbia. Insieme all’indignazione per una situazione gravemente iniqua: un caso umanitario in cui a essere violati non sono i diritti della persona ma anche la speranza di due giovani donne di trovare in Italia scampo e tutela. Pensavano che nostro fosse uno Stato di diritto a cui appellarsi, ha dichiarato Manconi.

Tutto questo origina dal cosiddetto Decreto Cutro su cui Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, si è espresso così:

Dopo il naufragio di Cutro, il decreto che da quel luogo porta il nome, accompagnato dalla proclamata ‘lotta agli scafisti lungo tutto l’orbe terracqueo’ ha creato una sorta di ansia performativa: fare il maggior numero di arresti, a tutti i costi. È così che due persone che in Italia cercavano protezione hanno invece trovato le manette.

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