Ha suscitato una fortissima ondata di indignazione la notizia della morte di Mazen al-Hamada, attivista siriano sottoposto a torture da parte del regime di Bashar al-Assad; a dare notizia della sua scomparsa, avvenuta nel tristemente celebre carcere di Sednaya, noto come “mattatoio umano” è stato il portale Middle East Eye, che ha anche sottolineato come il suo corpo presentasse evidenti segni di tortura.

L’annuncio della sua morte è stato poi ripreso anche dalla pagina Instagram della Ong Syrian Emergency Task Force.

La Syrian Emergency Task Force piange la tragica perdita di Mazen Alhummada, un impavido sostenitore della giustizia e simbolo di resistenza di fronte alla tirannia. Il suo coraggio incrollabile ha ispirato il mondo e la sua eredità alimenterà per sempre la lotta per la libertà e la dignità in Siria. Onoriamo la sua memoria continuando la sua missione di ritenere responsabile il regime di Assad dei suoi crimini contro l’umanità.
Riposa in potere, Mazen, ci dispiace tanto.

Il 47enne attivista era fuggito in Europa nel 2014, poco dopo lo scoppio della guerra civile, facendosi portavoce degli orrori che aveva visto nel suo Paese; raccontò di essere stato appeso per i polsi con delle catene dopo l’arresto, in seguito alle proteste pacifiche del 2011, e il trasferimento nel quartier generale dell’intelligence dell’aeronautica militare, nel quartiere Mezzeh di Damasco, dove è iniziato il suo vero incubo: costole rotte, sigarette spente sulla pelle, scosse elettriche su tutto il corpo, oltre alla violenza sessuale con un palo di metallo e i genitali stretti in una morsa che lo lasciarono impotente a vita.

Mi hanno bendato, tappato le orecchie e costretto a stare in ginocchio con le mani sopra la testa – ha raccontato in un’intervista – L’uomo che mi interrogava mi chiese ‘Cosa hai fatto?’, “Sono stato a una dimostrazione, con la mia videocamera”. Ha fatto una smorfia e ha detto ‘Devi confessare qualcos’altro’, e io ‘Non ho fatto niente’. ‘Che tipo di arma avevi?’, ‘La mia videocamera’, ho risposto in modo impertinente, ‘Una Toshiba’.

‘Questa confessione non mi sta bene’, ha detto, così mi ha fatto sdraiare per terra e mi ha rotto le costole, saltandomi addosso. Le ho sentite rompersi, poi mi ha girato a pancia in su e mi ha dato pugni, calci, schiaffi. ‘Sembra che tu non voglia confessare’, ha detto ‘ Se non lo fai, ti ammazzo’.

Hamada ha raccontato questi dettagli su richiesta, a politici, giornalisti e accademici in tutto l’Occidente, diventando un punto fermo nel circuito della difesa dei diritti umani; “Ogni volta che parlava era costretto a rivivere gli orrori. Riesco ancora a immaginare il vuoto nei suoi occhi, occhi che sembravano guardare oltre il mondo”, ha scritto un amico siriano nei Paesi Bassi, Sakir Khader, in un omaggio all’attivista pubblicato su X.

Proprio Khader ha lanciato anche accuse ai Paesi Bassi, dove Hamada si era rifugiato, dicendo che negli ultimi tempi gli avevano tagliato fondi e sussidi come se in qualche modo volessero “spingerlo” a lasciare il Paese. “Mentre la violenza [in Siria] aumentava, aumentava anche la pressione da parte di varie autorità nei Paesi Bassi – ha scritto ancora su X – A Mazen è stato detto che avrebbe dovuto dare qualcosa in cambio di tutto ciò che gli era stato dato”.

Nonostante l’orrore già vissuto sulla propria pelle, nel 2020 la decisione di tornare in Siria, nella convinzione di poter essere più utile da là piuttosto che dal mondo occidentale, dove molti non volevano ascoltare né vedere. Diceva di aver ricevuto rassicurazioni dal governo del presidente Bashar al-Assad sul fatto che sarebbe stato al sicuro, ma è stato arrestato all’arrivo all’aeroporto internazionale di Damasco ed è scomparso ancora una volta nel sistema carcerario.

Martedì scorso i parenti a Damasco hanno identificato il suo corpo tra circa 40 cadaveri trovati avvolti in lenzuola insanguinate e gettati nell’ospedale militare nel sobborgo di Harasta a Damasco. La mattanza sembrava recente, forse nelle ultime ore prima che Assad fuggisse e i ribelli prendessero il potere, come ha spiegato Mouaz Moustafa della Syrian Emergency Task Force, che ha lavorato a stretto contatto con Hamada. Le foto raccapriccianti del suo corpo pubblicate online, troppo raccapriccianti per essere descritte, suggerivano che fosse morto di una morte atroce, sotto tortura fino alla fine.

L’ospedale di Harasta è noto come stazione di passaggio per i prigionieri torturati a morte, diretti alla sepoltura in fosse comuni, ha affermato Stephen Rapp, presidente della Commissione per la giustizia e la responsabilità internazionale, un’organizzazione non-profit che raccoglie prove di crimini di guerra in Siria e ha trascorso ore a registrare la testimonianza di Hamada sulle torture. Pensa che Hamada e gli altri trovati con lui siano stati uccisi frettolosamente quando il regime è caduto perché erano stati identificati come probabili testimoni contro i loro aguzzini.

La fine del regime di Assad e la gioia del popolo siriano lasciano però spazio alla consapevolezza che la maggior parte delle circa 100.000 persone scomparse nel gulag del suo sistema carcerario probabilmente non faranno mai ritorno. Ciononostante, i gruppi per i diritti umani affermano di essere fiduciosi che tutti i prigionieri detenuti nelle prigioni siriane siano stati liberati, compresi circa 4.000 rilasciati da Sednaya, la più grande e famigerata delle prigioni siriane, la stessa dove Hamada è morto.

“Ha raccontato tutto degli orrori assoluti che stavano accadendo e lo ha fatto più e più volte, e nessuno ha fatto niente e ora è morto e anche tutti gli altri sono morti – si è sfogata Sara Afshar, che ha realizzato un documentario sul sistema carcerario siriano focalizzato proprio su Hamada e che è diventata sua amica nel frattempo – Le cose che ha detto che gli sono accadute andavano oltre la comprensione umana, erano così mostruose, e tuttavia i governi normalizzavano i loro rapporti con Assad”.

La sua vita e la sua morte, ha aggiunto, sono la testimonianza dell’indifferenza del mondo verso la sofferenza in Siria che è continuata incontrollata fino alla caduta di Assad, la scorsa domenica.

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