“Mi rifiuto di correre per rispetto della vita umana. E mi ritiro. È il momento di dire basta.”

Con queste parole, traboccanti di dolore, il pilota italiano Michel Fabrizio dice addio al mondo delle corse motociclistiche, dopo la terribile morte del pilota spagnolo Dean Berta Viñales – di soli quindici anni – durante la gara di Supersport 300.

“Lo faccio per mandare un messaggio forte di protesta”, prosegue l’ex pilota – che era tornato a gareggiare nel campionato Supersport a sei anni dal suo ultimo mondiale Superbike – in un lungo post su Instagram, “affinché le regole cambino per la salvaguardia delle vite umane”.

L’attacco è rivolto alla Federazione Internazionale di Motociclismo, accusata dal pilota di “indifferenza” riguardo al destino di tanti giovanissimi piloti con poca esperienza indotti a gareggiare su circuiti pericolosi senza alcuna precauzione.

“Oggi ho assistito a una brutta giornata, la perdita di un pilota di soli 15 anni. Gare così ne ho viste tante in questa categoria, e ogni volta che ne finiva una, si tirava un sospiro di sollievo perché era andata bene”, afferma Fabrizio. “Ma purtroppo non sempre va bene ed è successo l’imprevedibile o forse quello che si sapeva potesse accadere”. E aggiunge: “Ho visto un’indifferenza da parte della Federazione Internazionale: schierare 42 bambini nella Yamaha cup (fortunatamente è filato tutto liscio, nel 2021) e altri 42 nel Mondiale 300. Troppi, troppi piloti con poca o addirittura pochissima esperienza”.

Il problema principale, sempre secondo il pilota italiano, è il morboso attaccamento al business della Federazione: “per fare cassa si prende tutto, fino all’ultimo posto disponibile”, dice amareggiato Michel.

Andrebbero riviste anche le piste, ottimizzando gli spazi di fuga. Una pista fatta male può essere pericolosa anche per i piloti più navigati; basti pensare al terribile incidente di Valentino Rossi nel 2020. Ai giovani piloti, inoltre, andrebbe concesso un rodaggio più lungo, senza catapultarli in fretta e furia su circuiti di difficoltà elevata.

Serve, a questo proposito, la mobilitazione di tutte le nazioni affinché questo cambiamento possa avvenire il più in fretta possibile.
“Il primo che lanciò un messaggio forte fu Ayrton Senna”, conclude il trentasettenne pilota, “che disse come alcune piste fossero pericolose, e solo dopo la sua morte si intervenne. A oggi nella Formula1 ci sono meno morti, invece nel motociclismo ultimamente c’è un’ecatombe”.

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