È morto Francisco Wichter, l'ultimo sopravvissuto della “lista di Schindler”

L'ultimo sopravvissuto degli ebrei della famosa "lista", salvati dall'imprenditore tedesco, è morto in Argentina a 99 anni. "Ho conosciuto il dolore più tremendo, ma anche l'amore e la solidarietà".

È morto Francisco Witcher, l’ultimo sopravvissuto degli ebrei, tra i 1200 e i 1300, salvati dall’imprenditore tedesco Oskar Schindler durante la Seconda Guerra Mondiale.

Witcher, che dopo la fine del secondo conflitto era emigrato in Argentina, è morto a Buenos Aires a 99 anni, come annunciato dal nipote, il giornalista sportivo Tomas Witcher. “Se la sua morte serve a riportare in vita la sua storia, ben venga”, sono state le sue parole.

Nato il 25 luglio 1926 in Polonia col cognome Feiwel, da una famiglia di modeste origini – il padre era un ciabattino – Francisco Witcher vide morire i genitori e i cinque fratelli Hanka, Rosa, Zlota, Sara ed Elías sotto il regime nazista, mentre lui venne mandato in diversi campi di concentramento, fino a che Schindler non lo volle come operaio nella famosa fabbrica di Cracovia, con il numero 371.

“Dovevo iniziare la scuola il 1° settembre. Volevo iniziare la scuola – sono stati i suoi ricordi, raccolti tempo fa da La Stampa – Ma era il 1939. Hitler invase il mio paese. E il mondo entrò in guerra. In quei giorni avevo l’età in cui, secondo il rito ebraico, si celebra la cerimonia del Bar Mitzvah. Sono i tredici anni, il momento in cui i giovani diventano responsabili delle proprie azioni. Ma nel mio caso non fu solo la legge ebraica a farmi diventare adulto, ma l’atrocità della guerra che mi spinse senza preavviso in una maturità senza ritorno”.

Furono, come lui stesso disse, “l’orrore, il caso, la volontà di vivere e l’intuizione” a portarlo alla conoscenza di Oskar Schindler: “Nel campo di Plaszow sapevamo che un imprenditore di Cracovia stava chiudendo la sua fabbrica per l’avanzata del fronte russo e voleva aprirne una di munizioni a Brünnlitz, in Cecoslovacchia. Si chiamava Oskar Schindler. I prigionieri di Plaszow erano catalogati come operai metalmeccanici e, insieme agli ebrei che già lavoravano per lui, fummo inclusi in una lista di persone che sarebbero andate lì. Diventammo la Lista Schindler: uomini e donne a cui il destino riservava una pausa in mezzo all’inferno.

Nell’autunno del 1944 entrai in fabbrica come lavoratore numero 371. Le condizioni del posto erano le stesse di tutti gli ebrei in quel periodo: lavoro forzato e senza alcun pagamento. Ma il comportamento di Oskar Schindler e di sua moglie Emilie era umano”.

Senza nome, né vestiti propri, Francisco Witcher ricordava comunque quel periodo in modo positivo: “si mangiava bene, non c’era fame e c’era un buon trattamento. Avevamo sempre riscaldamento e acqua calda, anche nelle stanze collettive dove dormivamo. Emilie riusciva a procurare farmaci per i malati. Non c’erano molte morti, ma quando succedeva qualcosa, veniva fatto un funerale di notte, in un cimitero cattolico, con la minima legittimità di una cerimonia. Dare una sepoltura, anche se non era ebraica, ma almeno umana, era riparatore”.

Al quotidiano Witcher raccontò anche come Schindler riuscisse a eludere i controlli della Wehrmacht, grazie alle conoscenze con gli alti gerarchi nazisti – era in ottimi rapporti, ad esempio, con Amon Göth, capo del campo di concentramento di Kraków-Płaszów -, ai regali e alle cene offerte.

“Quanto della sua azione iniziò come un affare e quanto come un’impresa umanitaria non è facile da dire, ma è evidente che a un certo punto divenne esclusivamente un’impresa umanitaria. […] Eravamo quasi mille trecento ebrei da sfamare e c’erano anche circa trecento bocche da sfamare tra russi e polacchi che costituivano il personale retribuito del campo. Dovevano anche nutrire con una dieta diversa le guardie naziste della fabbrica. Tutto veniva dal denaro degli Schindler. I suoi obiettivi, chiaramente, si erano completamente separati dall’aspetto economico”.

Un ricordo particolarmente importante, per lui, fu quello dell’annuncio della fine della guerra: “Il 7 maggio 1945 il cielo era sereno, era primavera. Qualcosa di strano accadeva, la gente vagava senza lavorare. Oskar apparve nel cortile accompagnato da Emilie, si posizionarono sopra una piccola pedana. Oskar diede l’ordine di accendere la radio. Noi ci fermammo attorno agli altoparlanti. Nella radio degli Schindler ascoltammo la voce di Churchill: la Germania si arrendeva incondizionatamente. Era finita la Seconda Guerra Mondiale.

Oskar ci ringraziò per lo sforzo che avevamo fatto per mantenere la sua fabbrica, ci informò che la chiudeva e che, da quel momento, ciascuno di noi era libero. Attraversammo il cancello d’uscita con emozione e paura. Partii da Brünnlitz una settimana dopo la fine della guerra”.

Subito dopo la guerra, lui e la moglie Hinda, anch’essa sopravvissuta alla ferocia nazista e allo sterminio degli ebrei, emigrarono in Sudamerica.

“Sono uno dei pochissimi sopravvissuti al mondo della Lista Schindler. Delle quasi mille trecento persone che eravamo, c’è un uomo che risiede a Miami e io a Buenos Aires. Non so se ci sia qualcun altro. Ho conosciuto il dolore più tremendo, ma anche l’amore e la solidarietà. A 90 anni dono agli altri la mia memoria”, queste erano state le sue parole al quotidiano argentino Clarín.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!