Nikki Reed condivide le foto del suo parto in casa. Attenzione a non idealizzarle.

La star di Thirteen ha scelto il parto casalingo per il secondogenito, come molte altre vip e non. Ma attenzione al rischio di idealizzare questa modalità di parto come la più totalizzante e naturale per una madre, perché non è questo quello di cui abbiamo bisogno.

Nikki Reed, star di Thirteen, ha da pochissimi giorni avuto il suo secondo figlio, nato dall’amore con il marito e collega Ian Somerhalder, e per l’evento ha scelto il parto in casa, come documentato in un post pubblicato sul proprio account Instagram.

Sempre più star scelgono questa modalità di parto – da Beyoncé a Gisele Bündchen, passando per Meghan Markle -, che spesso viene proposta o scelta anche dalle partorienti “non vip” in quanto ritenuta quella più in grado di connettere la mamma con il nascituro, e vissuta come un’esperienza totalizzante di maternità. Tuttavia, al netto della libertà individuale di scegliere ciò che si ritenga migliore o più confacente alla propria persona, nel caso del parto l’interesse primario dovrebbe ruotare sul fattore sicurezza che spesso, nei parti casalinghi, viene a mancare o quantomeno non è del tutto garantita, come spiega anche l’attivista della maternità e autrice Francesca Bubba in questo post.

Esiste un protocollo per accedere al parto in casa sicuro – scrive Bubba – ma viene disatteso troppo spesso, in nome di una narrazione pericolosamente parziale.

Qual è questa “narrazione parziale”? Quella che vorrebbe, ad esempio, il parto in casa come tradizionalmente simbolo di forza materna, incalzato dal mantra “ma le nostre nonne/mamme hanno sempre partorito così”, che tralascia un dettaglio di assoluta importanza, ovvero il fatto che 50 o 60 anni fa molti parti casalinghi, purtroppo, si concludessero male, con la morte del neonato, della madre o di entrambi, proprio in virtù della carenza di mezzi igienico-sanitari adeguati e per la grossolanità con cui le operazioni si svolgevano.

Particolare che assume una centralità ancora maggiore oggi, che, sempre secondo quanto riportato da Bubba sulla base dei dati forniti da quotidianosanita.it, il tasso di mortalità è ancora dell’1,26 per i parti in casa contro lo 0,32 dei parti in ospedale, ogni 1000 nati. Segno che, nonostante la medicina ginecologica e ostetrica siano andate avanti, partorire tra le mura domestiche resta più pericoloso rispetto al farlo in strutture adeguate. E anche se Bubba ritiene che parte della responsabilità sia proprio degli spazi sanitari, incapaci di far sentire al sicuro le partorienti, l’aspetto primario resta comunque il “diritto di accedere al sollievo”

abbiamo diritto di accedere alla sicurezza – scrive l’attivista – ma senza complessità e informazione non c’è sicurezza.

Del resto, la stessa Reed nella caption del post dedicato alla nascita del suo secondogenito specifica quanto il fattore sicurezza sia fondamentale:

[…] Ad essere sincera, il motivo per cui mi sono sentita in dovere di condividere qualcosa di così personale è che ho il desiderio ardente di mettere in evidenza il valore dell’assistenza ostetrica e di mostrare l’incredibile saggezza che queste donne portano nel momento della nascita e dopo – scrive l’attrice – Soprattutto nel periodo post-partum, molte donne sono lasciate senza sostegno e insieme dobbiamo cambiare questa situazione. Con una cultura che non assiste le neo-mamme come dovrebbe e un sistema sanitario che non valorizza la necessità di assistenza alla partoriente, è tempo di creare un cambiamento.

C’è però un altro aspetto analizzato da Bubba nel suo post, che è l’implicito classismo che si nasconde nei parti casalinghi: Beyoncé, che abbiamo già citato, ha speso due milioni di dollari per il suo parto in casa dei gemelli Rum e Sir, per garantirsi le attrezzature migliori, incubatrici comprese. In Italia, per un parto in casa occorrono 3000 euro solo come compenso per l’ostetrica che segue la partoriente ed è, di fatto, un “servizio per ricche”. Motivo per cui sempre più donne stanno scegliendo il free birth, facendo nascere i propri figli completamente da sole e in luoghi non sempre propriamente indicati per un parto, come la montagna o il mare, con tutte le conseguenze e i rischi del caso.

Il parto in casa non va demonizzato in toto o in maniera aprioristica, ma va certamente contestualizzato e, soprattutto, non mitizzato, perché non è questo che rende le persone che partoriscono “più o meno madri”, esattamente come non lo è il partorire in maniera naturale o l’allattare al seno. Ciò che le persone meritano quando partoriscono è, in primis, il poterlo fare in un ambiente sicuro e con persone preparate e competenti al proprio fianco.

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