Sono le 22:30 del 23 agosto 1923 quando don Giovanni Minzoni, parroco di San Nicolò ad Argenta, nel ferrarese, viene aggredito alle spalle assieme al giovane parrocchiano Enrico Bondanelli da due squadristi di Casumaro, Giorgio Molinari e Vittore Casoni.

I due fascisti, facenti capo a colui che sarà il futuro Console della milizia, Italo Balbo, aggrediscono il sacerdote con sassi e bastoni, provocandogli la frattura delle ossa del cranio; ciononostante, don Minzoni riesce a rialzarsi, dopo l’agguato, e si lascia aiutare da Bondanelli, anch’egli aggredito, a rientrare in casa, dove purtroppo morirà intorno alla mezzanotte, circondato dai suoi parrocchiani accorsi in massa per prestargli soccorso.

Poche ore prima della morte il religioso aveva lasciato scritte queste parole:

a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo.

A 100 anni dalla morte del parroco, il 23 agosto, Rai Storia trasmetterà Oltre la bufera, film del 2018 diretto da Marco Cassini in cui a prestare il volto a don Minzoni sarà Stefano Muroni, mentre fra gli altri interpreti troviamo Enrica Pintore, Piero Cardano e Michela Ronci.

Perché i fascisti scelsero di prendere di mira il parroco di un piccolo paese di provincia? Don Minzoni, che già si era distinto durante la prima guerra mondiale come tenente cappellano del 255º reggimento fanteria della brigata Veneto – motivo per il quale gli venne conferita la medaglia d’argento al valor militare – non ebbe mai paura di parlare pubblicamente delle sue perplessità rispetto al regime fascista che andava instaurandosi in Italia.

All’impegno come religioso – fra le altre cose aiutò la costitutizione di cooperative di matrice cattolica tra i braccianti e le operaie delle maglierie, promosse il doposcuola, la biblioteca circolante, i circoli maschili e femminili – don Minzoni accompagnava anche quello di opposizione al fascismo già prima della marcia su Roma, in particolare dopo l’uccisione, il 7 maggio 1921, dell’amico sindacalista socialista Natale Gaiba. 

Nel ferrarese, del resto, il clima in quegli anni non era dei migliori: già il 20 dicembre 1920 si erano registrati sei morti nel corso dell’eccidio al Castello Estense, e il sacerdote aveva fatto di tutto per per contrastare l’istituzione dell’Avanguardia giovanile fascista, ma attese solo l’aprile del 1923 per aderire apertamente al Partito Popolare Italiano, diventando quindi un punto di riferimento per tutti gli antifascisti della zona.

Raul Forti, console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, tentò anche di portare don Minzoni dalla propria parte, proponendogli il ruolo di  cappellano militare della MVSN, che il religioso rifiutò.

Così, come accadrà con Giacomo Matteotti e con moltissimi altri oppositori del regime, i fascisti non trovarono altra soluzione che eliminare don Minzoni; e la sua morte fu archiviata, per decisione della dirigenza fascista ferrarese, nel novembre del 1923, suscitando nuovo interesse solo l’anno dopo, proprio per via dello scandalo provocato dal delitto Matteotti: i quotidiani Il Popolo e La Voce Repubblicana denunciarono Italo Balbo come presunto mandante dell’omicidio di don Minzoni, pubblicando anche documenti con ordini da lui impartiti per bastonare gli antifascisti e per fare pressioni sulla magistratura. Balbo, divenuto nel frattempo Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), non solo fu costretto a dimettersi dal ruolo, ma perse anche la causa per diffamazione contro La Voce Repubblicana, che aveva pubblicato i documenti.

Nel dicembre dello stesso anno venne riaperta l’inchiesta sul delitto del religioso ferrarese, e il 14 luglio del 1925 si aprì un nuovo processo alla corte di assise di Ferrara, che giunse a conclusione appena due settimane dopo, in un clima di fortissima intimidazione di giornalisti e testimoni. Tutti gli imputati furono assolti, nonostante le condanne chieste dalla pubblica accusa.

Ci vorranno quasi vent’anni affinché la Corte di Cassazione annulli il processo istituendone un terzo, conclusosi con la condanna per omicidio preterintenzionale degli imputati superstiti, comunque scarcerati per sopravvenuta amnistia.

A sessant’anni dalla morte di don Minzoni, quando le sue spoglie furono traslate dal cimitero monumentale di Ravenna alla chiesa di San Nicolò di Argenta, Papa Giovanni Paolo II scrisse:

Don Minzoni morì ‘vittima scelta’ di una violenza cieca e brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si colloca sul piano della fede cristiana. Fu il suo fascino spirituale, esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare sui giovani, a provocare l’aggressione, si volle stroncare soprattutto la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego per la trasformazione della società. Per questo gli Esploratori Cattolici sono a lui debitori.

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