Paralimpiadi: Alia Issa è l'unica donna nella squadra degli atleti rifugiati
In tutto sono sei e gareggiano nel nuoto, nell’atletica, nel canottaggio e nel taekwondo. Un video di The Journey racconta la loro storia.
In tutto sono sei e gareggiano nel nuoto, nell’atletica, nel canottaggio e nel taekwondo. Un video di The Journey racconta la loro storia.
Sono sei i membri della Squadra dei Rifugiati che gareggiano alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 nelle discipline del nuoto, dell’atletica, del canottaggio e del taekwondo. La squadra è composta da una donna e cinque uomini, che si sono tutti distinti nella propria categoria. Alcuni di loro sono rimasti feriti durante la guerra, altri hanno subito lesioni o contratto malattie nei Paesi che li hanno accolti.
Il membro più giovane della squadra è la prima paratleta donna rifugiata: si chiama Alia Issa, ha 20 anni, di origine siriana e vive in Grecia. Gareggerà nel lancio della clava, una specialità riservata agli atleti che non possono impugnare il giavellotto, il peso o il disco. Ha contratto il vaiolo all’età di quattro anni, riportando danni cerebrali che le hanno creato disabilità fisiche e mentali. Di recente si è classificata quarta ai Campionati europei di atletica leggera paralimpica 2021.
Alia Issa #RPT will compete on the 27th August in the women's club throw! #OpeningCeremony #Paralympics @SDGaction pic.twitter.com/DXyY1YpELS
— #ParaAthletics #Tokyo2020 (@ParaAthletics) August 24, 2021
L’atleta, spiega sul sito dell’UNHCR, che dedicarsi allo sport è stato fondamentale per lei, perché l’ha resa più forte e sicura di sé:
“Alle persone che hanno un figlio disabile come me, vorrei dire di non tenerlo nascosto in casa, ma di incoraggiarlo a fare sport”.
Abbas Karimi, uno dei due nuotatori del team, è un rifugiato afghano che ora vive a Fort Lauderdale negli Stati Uniti. È stato nominato Sostenitore di alto profilo per l’Agenzia ONU: nato senza entrambe le braccia è stato discriminato sia per la sua disabilità sia per la sua appartenenza etnica. Abbas ha vinto otto medaglie, tra cui un argento ai Campionati mondiali di nuoto paralimpico del 2017 a Città del Messico:
“Credo di avere il potenziale per salire sul podio alle Paralimpiadi e penso che sia un evento importante per tutte le persone rifugiate e per il nostro futuro: vedere un atleta rifugiato sul podio può portare a un cambiamento concreto per i rifugiati ed essere fonte di ispirazione e speranza”.
Ibrahim al Hussein, siriano di origine, è l’altro nuotatore della squadra e ha partecipato ai Giochi Paralimpici di Rio nel 2016. Ora vive in Grecia e gli è stata amputata la gamba destra sotto il ginocchio dopo essere stato coinvolto nell’esplosione di una bomba in Siria. Per lui la partecipazione alle Paralimpiadi è un sogno diventato realtà:
“Vorrei che ogni rifugiato avesse la possibilità di fare sport. Non riesco a immaginare la mia vita senza sport. Non riesco a immaginare la mia vita senza sport”.
Il quarto atleta, anche lui siriano, Anas Al Khalifa. Nel 2018 mentre lavorava, ha riportato una lesione al midollo spinale a causa di una caduta da un edificio di due piani. Il suo fisioterapista lo ha incoraggiato a praticare canottaggio, e grazie alla sua costanza nell’allenarsi e al supporto del suo allenatore, ha fatto incredibili progressi:
“Quando mi alleno, penso a come lo sport permette alle persone di realizzare tantissime cose e di dimenticarsi della propria disabilità. Ti fa sentire come se non avessi alcuna disabilità”.
Shahrad Nasajpour, è stato uno dei pionieri della Squadra Paralimpica Rifugiati e gareggerà nel lancio del disco. Nato in Iran con paralisi cerebrale, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti ha contattato il Comitato internazionale proponendo la creazione una squadra di rifugiati per Rio, team in cui ha anche partecipato:
“Quando hai un gruppo, ricevi più attenzione. È fantastico vedere più atleti coinvolti ora. Spero che negli anni a venire questo gruppo cresca ancora di più. È fantastico vedere più atleti coinvolti ora”.
L’ultimo atleta è Parfait Hakizimana, che si recherà a Tokyo dal campo per rifugiati di Mahama in Ruanda, dove vive dopo essere fuggito dai conflitti scoppiati in Burundi. Ha perso gran parte del braccio sinistro all’età di 6 anni durante un attacco in cui sua madre ha perso la vita. Praticare il taekwondo e gareggia a livello internazionale oltre ad allenare le bambine e i bambini che vivono nel campo insieme a lui:
“I rifugiati non hanno molto, ma lo sport li aiuta a dimenticare le loro difficoltà”.
La storia della Squadra Paralimpica Rifugiati è stata annunciata da un bellissimo video realizzato The Journey per l’UNHCR. Gli atleti saranno la prima squadra ad entrare allo stadio nazionale giapponese durante la cerimonia di apertura del 24 agosto 2021. Il team rappresenterà gli oltre 82 milioni di persone che in tutto il mondo sono costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani.
Perennemente con la musica in sottofondo e un libro di Flaubert in borsa, amo le grandi città e i temporali. Da bambina volevo diventare una scrittrice di gialli. Collaboro con Roba Da Donne, DireDonna e GravidanzaOnLine.
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