"Primadonna", il film sul coraggio di dire no al matrimonio riparatore con il proprio stupratore

Le nozze forzate con il proprio stupratore sono ancora tutelate dalla legge in ben 20 Paesi al mondo: un sistema arcaico e patriarcale che rende le donne vittime due volte, prima della violenza e poi della cultura da cui quello stupro è generato.

Il matrimonio riparatore che sta al centro di Primadonna film di Marta Savina al cinema dall’8 marzo 2023, è stato eliminato in Italia poco più di 40 anni fa, nel 1981, insieme al delitto d’onore: per legge, prima di allora, la rispettabilità di una donna stuprata poteva essere salva grazie alle nozze con lo stupratore; d’altro canto, un marito tradito che avesse lavato col sangue della moglie l’onta del tradimento sarebbe stato protetto dal medesimo Codice Rocco, promulgato nel 1930.

Servì il coraggio di rifiutare il matrimonio da parte di una giovane donna, Franca Viola, violentata nel 1965 dal fidanzato Filippo Melodia, per dare inizio a un processo lungo e sofferto che sfociò nell’abrogazione delle nozze forzate col proprio stupratore.

Pratica ancora viva e vegeta in ben 20 Paesi al mondo (Algeria, Angola, Bahrain, Bolivia, Camerun, Eritrea, Gaza, Guinea Equatoriale, Iraq, Kuwait,Libia, Filippine, Repubblica Domenicana, Russia, Serbia, Siria, Tajikistan, Thailandia, Tonga e Venezuela): il rapporto My body is my own, del 2021, stilato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), ha evidenziato come la situazione legale cambi tra i diversi Paesi: se in Iraq lo stupratore può evitare qualsiasi accusa nei suoi confronti, tranne in caso di divorzio entro i primi tre anni, in Kuwait è necessario che il maschio adulto che ha in carico la tutela legale della donna richieda l’annullamento dell’accusa nei confronti dello stupratore.

In Russia e in Thailandia, il matrimonio riparatore si applica solo se il colpevole ha 18 anni e ha fatto sesso con una minore di 16 anni. In Marocco, invece, nel 2014, la legge sul matrimonio per stupro è stata abrogata in seguito alla imponente protesta popolare dopo il suicidio nel 2012 di Amina Filali, costretta a 16 anni a sposare il suo stupratore.

C’è anche chi tenta di tornare indietro, come la Turchia di Erdogan, dove il Governo ha provato a reintrodurre il matrimonio riparatore, abolito nel 2005. Secondo la bozza di legge, discussa in parlamento nel 2020, potrebbe assicurare un salvacondotto agli stupratori purché la differenza d’età sia inferiore ai 10 anni.

In tutti questi Paesi, le vittime di violenza sessuale obbligate a sposare il proprio stupratore sono vittime due volte: sia di un uomo violento, sia della cultura dello stupro, un sistema patriarcale che, anziché condannare i colpevoli, costringe la donna, per tutta la vita, ad assumersi il peso di quello stupro, e nega il diritto a decidere della propria vita e del proprio corpo.

Primadonna
Claudia Gusmano e Fabrizio Ferracane in Primadonna (Courtesy Press Office)

Perché vedere Primadonna

«Quella di Lia è la storia di tante donne come lei, che si battono per autodeterminarsi», così Marta Savina, regista al suo debutto in un lungometraggio, durante la conferenza stampa in cui ha presentato il suo Primadonna, insieme ai due interpreti principali, Claudia Gusmano e Fabrizio Ferracane, e ai produttori.

Girata in Sicilia, sui Monti Nebrodi, dove è ambientata, l’opera prima di Savina ha il ritmo palpitante che si addice al racconto di un atto rivoluzionario: opporsi all’arroganza di una cultura che vede la donna come essere da possedere, a prescindere dalla sua volontà. Lia, solare ragazza cresciuta in una famiglia contadina degli anni Sessanta, da un padre affettuoso ma di poche parole (interpretato da uno stupefacente Fabrizio Ferracane), che sa supportarla senza prevaricarla, è illibata e verginale anche nei pensieri, col suo cappottino azzurro da pochi soldi  e qualche piccolo vezzo di una vanità poco più che fanciullesca; si divide tra i lavori nei campi con il padre e il desiderio mai appagato di interpretare la Madonna in chiesa, durante il Natale.

Niente di più desiderabile per Lorenzo Musicò, impregnato fino al collo di quella misoginia che fa sposare le donne “non consumate” («Se non ti consumavano, sposavo a te», dice a Ines, la prostituta del paese, a sua volta violentata ma mai “riparata” dal suo stupratore).

«Lorenzo non è un carnefice – ha precisato la registaÈ lui stesso vittima del mondo sbagliato in cui è immerso e che lo porta a fare delle cose atroci con assoluta nonchalance». E da ingranaggio inconsapevole del sistema, quale è, Lorenzo farà l’unica cosa che sa fare: si prenderà quello che vuole. A inceppare il meccanismo, ormai tanto oliato da trovare un acerrimo sostenitore nel parroco del paese («l’unico personaggio che ho trattato senza la minima compassione», ha confessato Marta Savina), l’inatteso rifiuto di Lia ad accettare il matrimonio riparatore dopo il rapimento e lo stupro.

La bellezza del film, robusto nella padronanza con cui Savina muove la sua macchina da presa, sta in gran parte nel saper procedere spedito tra le tante sfumature: assenti la ricerca di buoni e cattivi, i facili pietismi e le altrettanto semplici condanne. Lia, piccola e giovane donna che dalla sua ha solo la propria voce, diventa così un esempio per tutte. Suo padre e il suo avvocato, l’uomo legato visceralmente alla sua terra e ai cicli della natura e l’uomo relegato ai margini della società perché non si conforma ai dettami dei benpensanti, possono essere un faro per tanti uomini come loro; perché quando c’è tutto un mondo da scardinare, non ci può che essere un’assunzione di responsabilità da parte di tutte e di tutti.  Primadonna va visto anche – e soprattutto – per questo.

Primadonna
Claudia Gusmano e Dario Aita in Primadonna (Courtesy Press Office)

Scheda di Primadonna film su matrimonio riparatore

Presentato con successo in anteprima al London Film Festival e ad Alice nella città, nel 2022 dove ha vinto il concorso Panorama Italia, arriva l’8 marzo 2023 nelle sale italiane, distribuito da Europictures in 40 copie, Primadonna, opera prima di Marta Savina, che del film ha firmato anche soggetto e sceneggiatura.

Liberamente ispirato alla storia di Franca Viola, diciottenne che per prima rifiutò il matrimonio riparatore nella Sicilia degli anni Sessanta, il lungometraggio racconta della rivoluzione silenziosa di Lia e della sua famiglia.

Una squadra quasi tutta al femminile quella dietro le quinte, dall’autrice della fotografia Francesca Amitrano, al montaggio, di Paola Freddi, passando per Rachele Meliadò e Francesca Rodi, alle quali si devono, rispettivamente scenografia e costumi. Le musiche sono firmate da Yakamoto Kotzuga, al secolo Giacomo Mazzucato, giovane compositore da qualche anno sulla cresta dell’onda (sono sue le colonne sonore delle serie tv Baby e Baby 2 e del film Tutte le mie notti).

Nel cast, capitanato da Claudia Gusmano e Fabrizio Ferracane, nel ruolo della giovane Lia e di suo padre Pietro compaiono anche Manuela Ventura, la madre, e Francesco Colella, l’ex sindaco. Dario Aita (visto da poco sul piccolo schermo in La legge di Lidia Poët) è Lorenzo Musicò, il parroco interpretato è da Paolo Pierobon mentre la cantautrice Thony (pseudonimo di Federica Johanna Victoria Caiozzo) è Ines.

Savina aveva dedicato già un cortometraggio alla giovane siciliana, Viola, Franca, presentato in anteprima mondiale al Tribeca Film Festival di New York nel 2017, tesi finale del corso di regia dell’Università della California UCLA dove si è laureata. Al caso di Franca Viola, nel 1970 Damiano Damiani aveva dedicato il film La moglie più bella, con Ornella Muti (allora appena 14enne).

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