Alcuni consiglieri della Lega della Regione Umbria hanno avanzato una proposta di legge regionale che intende apportare sostanziali modifiche in ottica antiabortista e pro-life al Testo Unico in materia di sanità e servizi sociali. Ne fanno una lunga e dettagliata analisi i giornalisti Jennifer Guerra e Giuseppe Francaviglia su The Vision, a seguito della segnalazione del gruppo autodeterminazione Umbria, una rete che riunisce le associazioni femministe sul territorio umbro.

La proposta di legge presentata dalla giunta leghista, tra cui la consigliera Paola Fioroni, riprende molte delle proposte contenute nel Manifesto valoriale che nel 2019 la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, aveva firmato a “tutela della vita nascente”.

Tra le proposte presentate vi sono la tutela della vita sin dal concepimento, la prevenzione dell’aborto volontario, un maggiore potere accordato ad organismi di rappresentanza delle famiglie all’interno di servizi sociali e consultori pubblici e il potenziamento dei servizi di mediazione familiare, riprendendo con quest’ultimo, uno dei punti principali del decreto Pillon.

Come scrivono i due giornalisti su The Vision:

Gli intenti sono evidenti sin dalla massiccia riscrittura dell’art. 296 del Testo unico, che apre la sezione della legge regionale dedicata alle politiche per le famiglie. Le novità riguardano un comma dedicato alla “natalità e la lotta all’inverno demografico come valore da perseguire anche con strumenti di sostegno delle politiche familiari”, l’aggiunta “della tutela della vita umana dal concepimento alla morte naturale” tra le aree protette dalle politiche familiari, nonché l’impegno a “tutelare e promuovere la vita umana fin dal concepimento e in tutte le sue fasi […] favorendo interventi volti a prevenire e a rimuovere le difficoltà economiche, sociali e relazionali che possano indurre all’interruzione di gravidanza, anche attraverso apposite convenzioni con soggetti non istituzionali.

Tra le misure previste vi è quindi anche l’adozione di precise politiche economiche volte a ostacolare l’interruzione di gravidanza, nello specifico, sarebbe previsto uno stanziamento di fondi per garantire un assegno prenatale e potenziare l’attività – e quindi la presenza – di specifiche associazioni in consultori e strutture private. Associazioni, che, verrebbero selezionate da un preciso Elenco regionale degli organismi di rappresentanza delle famiglie, formato e deciso dalla Giunta stessa, “con propria deliberazione”.

Le proposte avanzate dalla giunta leghista muovono dunque nella direzione di concentrare maggiore potere decisionale e influenza nelle mani delle associazioni antiabortiste e pro-life, che promuovono la cultura della famiglia, anche e soprattutto nei servizi pubblici come i consultori. Un gesto subdolo e pericoloso che pone le donne in una condizione molto grave: quella di subire pressioni e condizionamenti che ostacolino un percorso di libertà di scelta e la decisione di esercitare quello che è un diritto conquistato con una legge molto tempo fa, ma, purtroppo, ancora messo in discussione.

Accanto a queste modifiche, che promuovono insistentemente le istanze pro-life e minano l’autodeterminazione delle donne, vi è però un altro punto centrale, che contribuisce a privilegiare la famiglia naturale, in nome di una cultura dell’eteronormatività e del sostegno ai valori patriarcali. Si tratta della proposta relativa al potenziamento dell’attività di mediazione familiare, attività che il vecchio Testo Unico a cui i consiglieri della Lega intendono mettere mano, prevedeva ma solo “allo scopo principale di sostenere i genitori nell’individuazione delle decisioni più appropriate, con particolare riguardo agli interessi dei figli minori”, ma che ora va nella direzione di prevenire separazioni e divorzi, per proteggere e recuperare il nucleo familiare, che si identifica quindi esclusivamente con quello “tradizionale”.

E in questo periodo dobbiamo registrare una sempre maggiore ondata antiabortista che interessa non solo il nostro Paese, ma molti altri Stati in Europa e nel mondo, un’involuzione culturale pericolosa che mette a rischio conquiste fondamentali e mina diritti altrettanto fondamentali per le donne, il loro corpo e la loro vita.

È recente (settembre 2020) il caso del comune di Iseo, in cui è stata presentata la mozione consigliare “Sostegno alla Vita Nascente”, che prevede un sussidio alla maternità da fornire alle donne inizialmente intenzionate ad abortire anche a causa di difficoltà economiche, il finanziamento di associazioni private pro-life e la promozione di progetti di aiuto alla vita nascente. Un ordinamento che va nella stessa direzione antiabortista e pro-family della proposta di legge presentata dalla giunta leghista della Regione Umbria.

Dei giorni scorsi è invece l’iniziativa di alcune associazioni antiabortiste, tra cui ProVita, che hanno affisso in molti luoghi della città di Verona cartelloni anti-aborto, raffiguranti una donna al fianco della seguente scritta: “Mamma, chi sceglie la vita vince sempre. L’aborto è una sconfitta!“. Un gesto anacronistico e offensivo che ha scatenato l’indignazione delle femministe e attiviste di Non una di meno Verona, che hanno modificato le scritte dei manifesti nella seguente frase finale: “Chi sceglie vince sempre! L’aborto è un diritto“.

Anche all’estero, specie in alcuni Paesi, si sta assistendo a una sempre maggiore chiusura e repressione culturale in questo senso, con leggi e norme che ci fanno tornare indietro di decenni e mettono le donne in posizioni di estremo rischio. Ne è una testimonianza il caso della Polonia, dove, nello scorso gennaio, è entrata in vigore la norma che vieta l’aborto in caso di malformazioni del feto, andando a sancire così un’ulteriore restrizione alla legge sull’interruzione di gravidanza polacca, che è già tra le più rigide d’Europa e che a oggi, rende possibile l’aborto solo in due casi di estrema gravità, ossia gravidanze causate da stupro o incesto e pericolo di vita per la donna.

Uno scenario simile si registra anche in Brasile, dove attualmente l’aborto è legittimato sono in tre situazioni estreme, tra cui gravidanza frutto di stupro, malformazioni del feto e pericolo di vita della donna incinta, e solo entro le 22 settimane. Sono inoltre previste pene durissime per le donne che abortiscono in clandestinità e per coloro che effettuano la procedura: il codice penale brasiliano prevede infatti da uno a tre anni di carcere in regime chiuso per la donna e fino a quattro anni per chi aiuta la donna.

Una fotografia preoccupante che vede la diffusione su più fronti di politiche e istanze ultra-conservative anche all’interno di culture e Paesi ampiamente progressisti, che da sempre si sono fatti portavoce della tutela e del rispetto delle conquiste e delle libertà delle donne e delle minoranze.

L’aborto è un tema molto delicato, per questo non dovrebbe essere messa in discussione la libertà di scelta di nessuna persona e per coloro che invece ancora credono sia giusto limitare tale libertà, va ricordato che quando e laddove l’aborto è stato vietato, non ha mai smesso comunque di essere eseguito, con gravi rischi per le donne costrette a ricorrere alla clandestinità.

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