Fabrizia Falcione: "Le donne africane sono il motore economico e sociale di intere comunità" INTERVISTA

Ci sono numeri, purtroppo veri, su cui spesso l'Occidente specula per fare pornografia del dolore, ma c'è anche il movimento femminista e l'associazionismo femminile delle donne africane, che sono il motore economico e sociale di interi villaggi e comunità e di cui non si parla quasi mai. Intervista a Fabrizia Falcione, vice-direttrice regionale di UNFPA in Africa occidentale e centrale, e sostenitrice di Roadtrip Of Choices, un viaggio alla scoperta dell'Africa occidentale, che su Instagram è diventato un diario digitale in continuo aggiornamento.

Simone de Eguileor e Dario De Lisi non sono giornalisti, né influencer, né missionari; non sono neppure attori di sviluppo o umanitari. Sono due amici, appassionati di viaggi on-the-road che ha un certo punto hanno deciso di fare un viaggio in Africa, a modo loro. 6.000 km percorsi, da Milano a Dakar, in auto, con l’obiettivo di raccontare non “la loro Africa”, ma l’Africa di chi ci vive: certo anche i problemi sociali e le discriminazioni subite soprattutto dalle donne e dalle persone marginalizzate, ma più di tutto le storie di intere comunità, villaggi, associazioni, attiviste e attivisti che, oltre a supportare chi ha bisogno, stanno creando un cambiamento.

Così è nato Roadtrip Of Choices, un viaggio alla scoperta dell’Africa occidentale, che su Instagram è diventato un hashtag – #RoadtripOfChoices – e un diario digitale in continuo aggiornamento, che dà voce alle protagoniste e ai protagonisti incontrati da Dario e Simone in Marocco, Mauritania e Senegal, fino alla meta finale: Dakar, dove opera Fabrizia Falcione, vice-direttrice regionale di UNFPA in Africa occidentale e centrale.

Ed è a Falcione che abbiamo chiesto di fare un’istantanea, per quanto possa dirsi parziale, della situazione femminile in due Paesi, la Mauritania e il Senegal, totalmente diversi tra loro. Ne è nata una lunga e preziosa intervista, con numeri che restituiscono un quadro di genere drammatico, ma valorizzano anche l’operato di chi sta cambiando le cose dall’interno. A dirci che l’Occidente non è il centro del mondo e che l’Africa, come tutti i territori non occidentali, ha bisogno di essere guardata, vista e vissuta secondo una nuova prospettiva, decoloniale e anti razzista: cioè rinunciando al nostro privilegio bianco.

Nello specifico, qual è la situazione attuale delle donne dell’Africa occidentale e centrale in termini di salute sessuale e diritti riproduttivi?

Nella regione ci sono ancora molte barriere affinché donne e ragazze possano esercitare a pieno i lori diritti, anche quelli legati alla sfera della propria salute sessuale e riproduttiva. In primo luogo, ci sono norme sociali e di genere discriminatorie che limitano il potere decisionale delle ragazze e delle donne su scelte essenziali che riguardano la loro vita e in particolare il loro corpo, come ad esempio scegliere chi sposare e quanti figli/e avere.

Si pensi che in Niger ad esempio il 76% delle ragazze sotto i 18 anni sono già sposate. Spesso sono altri a prendere decisioni al loro posto, come il padre (al momento del matrimonio) e poi successivamente il marito. Ciò riguarda anche decisioni sul corpo stesso delle bambine, ad esempio la prevalenza delle mutilazioni genitali femminili tra la popolazione femminile dai 15 ai 24 anni è dell’89% in Mali. Queste norme sociali sono anche accompagnate e rinforzate da pratiche comunitarie e religiose e lacune nel quadro normativo che non promuovono anzi spesso ostacolano la parità di genere a tutti i livelli della vita di una società o comunità.

Ad esempio, in Niger, il paese con il più alto tasso di matrimonio infantile non vi è alcuna legge che punisca chi ha forzato una bambina a sposarsi, impedendo di fatto il ricorso alle autorità giudiziarie in caso di denuncia anche da parte della ragazza stessa. Questo contesto ha un fortissimo impatto sulla salute e il benessere di donne e ragazze che si trovano a gestire matrimoni e gravidanze in giovanissima età e che spesso hanno in media 4-6 figli, hanno dovuto lasciare la scuola e spesso ogni altra opportunità educativa e lavorativa, con fortissime ripercussioni anche sulla famiglia e sulla qualità di vita dei figli.

Vi sono inoltre molti altri fattori concomitanti che negli ultimi decenni hanno messo a dura prova la promozione dell’uguaglianza di genere e delle pari opportunità, quali il cambiamento climatico che impatta in maniera negativa sull’economia  di molte famiglie e donne che sono spesso occupate informalmente in un’agricoltura di sussistenza, oppure le tensioni sociali/politiche o i continui conflitti armati spesso fomentati da gruppi integralisti, che vedono l’occupazione e distruzione delle scuole e strutture sanitarie e che spesso impediscono gli spostamenti stessi delle donne, se non per cercare acqua o legna per cucinare in territori spesso insicuri.

Con questo però non vogliamo fornire un ritratto fosco della situazione delle donne e ragazze nella regione. Qui come altrove il movimento femminista e l’associazionismo femminile sono il motore economico e sociale di interi villaggi e comunità. Le donne si organizzano per sfamare le proprie famiglie, si raccolgono in associazioni e cooperative per trarre maggiore beneficio dai loro business e creare dei gruppi di mutuo aiuto anche finanziario tra loro. Le donne sono sempre di più rappresentate nei parlamenti e nei comitati decisionali locali. Questo lo vediamo anche nelle attività che supportiamo: quando aiutiamo il governo a sostenere servizi di base vi è una fortissima richiesta da parte di donne e ragazza di informazioni, di formazione per avere accesso a servizi ostetrici, ginecologici e sanitari che possano rendere le loro gravidanze desiderate e i loro parti sicuri.

Quali, sempre in termini di diritti riproduttivi e salute sessuale, i progetti UNFPA in atto.

Il programma di UNFPA a supporto dei governi e dei vari Ministeri degli stati della regione si declina in 3 grandi priorità strategiche:

  1. Ridurre ed eliminare tutte le morti che si possono prevenire durante la gravidanza e i parti.
    Dal 1990, la mortalità materna a livello globale è diminuita del 44%. Tuttavia, circa 830 donne e ragazze adolescenti muoiono ogni giorno per cause materne prevenibili. Il 99% di tutte le morti materne avviene nei paesi a basso reddito, più della metà in contesti umanitari. Ancora troppo sono le morti di donne in gravidanza perché non hanno potuto accedere a cure antenatali adeguate, per mancanza di trasporto, denaro, strutture o perché semplicemente nessuno le ha volute accompagnare. Si muore ancora partorendo in casa in situazioni igienico-sanitarie insufficienti o in sala parto, perché non ci sono medicinali, strumentazioni adeguate o personale formato in maniera regolare e secondo standard medici internazionali.
  2. Aumentare l’accesso ai servizi di pianificazione famigliare per sostenere in maniera consapevole la scelta di una donna di quando e quanti figli avere.
    Le donne, le adolescenti e le giovani hanno il diritto di fare scelte informate sulla contraccezione. Oggi, più di 300 milioni di donne nei paesi a basso reddito utilizzano la contraccezione, ma più di 214 milioni di donne che vogliono pianificare la propria famiglia non hanno accesso ai metodi contraccettivi moderni. La riduzione delle gravidanze indesiderate, a sua volta, può garantire che le ragazze possano continuare la loro istruzione e sviluppare le loro competenze professionali, aumentando così la partecipazione delle donne all’economia e alla società.
  3. La violenza contro le donne e le ragazze rimane una pandemia globale.
    Una donna su tre subirà violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita. Le pratiche dannose, come il matrimonio infantile e le mutilazioni genitali femminili, rimangono pervasive soprattutto nella regione in cui UNFPA lavora. Per questo sosteniamo programmi che in maniera integrata e trasversale sostengono l’empowerment femminile in tutti i campi. Una ragazza che conosce i propri diritti, che vive in uno spazio favorevole al suo sviluppo e benessere e che è sostenuta nell’accesso all’istruzione e in seguito a un lavoro anche dalla sua rete famigliare, è una risorsa per sé stessa ma anche per la sua famiglia e comunità.

I Paesi occidentali hanno sempre pensato e agito come se il mondo intero fosse solo la realtà occidentale; e noi, persone che li abitiamo, con loro. Da qualche decennio, e soprattutto negli ultimi anni, è evidente che non sia più così, che non lo sia mai stato: il mondo non occidentale è in rivolta, chiede di essere visto e sta combattendo le sue battaglie più importanti, nell’indifferenza dell’Occidente. Penso all’Iran e all’Afghanistan, che hanno un minimo di attenzione mediatica in più, ma la realtà è che oltre al conflitto europeo sono in corso decine di guerre e rivoluzioni di cui si parla poco o nulla. A pagarne il prezzo sono soprattutto le donne e le persone marginalizzate, lo sappiamo bene, ma posso chiederle di spiegare il perché, visto il suo ruolo di osservatrice privilegiata di un pezzo di mondo da noi dimenticato e marginalizzato?

Come donna e come osservatrice privilegiata di queste condizioni in molti paesi in cui ho avuto modo di lavorare dalla Palestina alla Giordania, dalla Nigeria al Senegal ma anche nel mio paese di origine, ossia l’Italia, posso solo dire che la risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. Viviamo in una società patriarcale in cui in maniera intersezionale, abbiamo visto, osservato e molte di noi vissuto come sia difficile capire e abbandonare la nozione di privilegio, perché esso sottende una sovversione dei ruoli e una condivisione del potere. Ne abbiamo avuto una testimonianza tangibile, per esempio, con il #metoo, in cui uomini e colleghi si sono resi conto che quelle che erano discriminate e oppresse erano le loro mogli, figlie, sorelle, colleghe, professoresse, dottoressa di fiducia. Ci si dimentica però che i diritti non sono come una torta, non si aggiunge a me per togliere a te. Ecco lavorare nel campo quindi dei diritti legati alla salute sessuale e riproduttiva significa anche questo, ricordare che la battaglia che si sta compiendo ora metaforicamente sul corpo delle donne è e deve essere una battaglia per i diritti delle donne, delle persone marginalizzate, delle persone discriminate e che per ora non possono far sentire la loro voce. Troppo facilmente si sacrificano i diritti delle donne in nome della sicurezza, della religione o del cosiddetto onore o decoro pubblico. UNFPA da anni invece si fa portavoce anche e soprattutto attraverso azioni concrete di questi diritti.

Fabrizia Falcione, vice-direttrice regionale di UNFPA in Africa occidentale e centrale, sostenitrice del #RoadtripOfChoices

Il rischio dei viaggiatori occidentali è di attraversare Paesi come quelli toccati dalla Milano-Dakar con lenti bianche, e magari persino, adottando il punto di vista del white savior che razzializza le persone nere e non bianche, seppur a volte (e non sempre) in buona fede. Qual è il consiglio che ha dato a Dario e Simone per evitare questo rischio, quasi inevitabile per ogni persona occidentale?

UNFPA con la sua multiculturalità e diversity, intesa proprio come varietà delle persone e delle mentalità che esse portano, lavora da sempre per eliminare il pregiudizio e promuovere lo scambio seguendo un approccio incentrato sui diritti umani. Dario e Simone quindi sono stati equipaggiati con “diversi occhiali dalle lenti di mille gradazioni”. Ci saranno le lenti colorate come un pagne senegalese delle donne che raccontano la loro narrazione, ci saranno le lenti variopinte dei giovani dei centri culturali che visiteranno e che animeranno il loro storytelling con le loro vite, speranze e desideri. Ci sono stati anche momenti in cui non avevano le lenti adeguate per interpretare la realtà e altre volte in cui Dario e Simone hanno indossato delle lenti scure, per proteggersi dalla brillantezza della forza e resilienza delle persone incontrate. Siamo consapevoli che bisogna mettersi in gioco, come in ogni viaggio che si chiami tale e per noi questa è un’enorme opportunità per uscire e per fare uscire Dario e Simone e chi ci legge dal proprio comfort zone.

Il viaggio di Dario e Simone è, come dicono loro, “una pagina bianca da riempire”. Una pagina vuota è un simbolo: “Il simbolo della possibilità di SCEGLIERE come scrivere il proprio destino. Una scelta che ancora molte persone nel mondo non hanno”. Cosa trova sia più urgente scrivere su questa pagina?

Trovo più urgente al momento ricordare che questa storia è stata riempita dalle parole di tutte quelle donne e giovani, ostetriche e educatori che hanno deciso di partecipare a questa avventura, aprendo la porta dei loro centri di salute e giovanili per farci entrare e sbirciare nelle loro preoccupazioni, paure e speranze.
Vorrei che la pagina bianca si riempisse, da oggi in avanti, sempre di più, delle speranze di Weulimata Faye Diagne – una giovane attivista senegale che possiamo ascoltare in questo video e che è coinvolta in prima persone nelle attività di UNFPA per la sua comunità e per altre ragazze come lei.

Vorrei che la pagina bianca si riempisse di quelle parole non dette di tutte le donne che entrano quotidianamente nel centro di salute di Chami (nel carousel fotografico  che segue, ndr) per ascoltare per la prima volta il battito della loro bimba. (FOTO) Vorrei che la pagina bianca si riempisse di quelle preoccupazioni e paure di tutte le donne che scappano da relazioni abusanti e violente e che trovano serenità e conforto nel centro di donne Al-Wafa in Mauritania.

Per questo vi chiederei di continuare a leggere le storie nella pagina #RoadtripOfChoices che, anche se il viaggio si è appena concluso, continuerà il suo racconto.

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