Spinta a uccidersi per un video hard, oggi ci sono due indagati per il suicidio di Michela

Due giovani di Porto Torres di 24 e 29 anni indagati per il suicidio di Michela Deriu, avvenuto tre mesi fa: l’accusa di diffamazione aggravata e morte come conseguenza di altro reato in quanto avrebbero diffuso foto e video privati della ragazza.

Michela Deriu era una ragazza giovane, bella, felice, libera. Eppure, si è tolta la vita, nella notte tra il 4 e il 5 novembre 2017, soffocata dalla vergogna, oppressa dal terrore dei giudizi della gente, per un video a luci rosse che la vedeva protagonista. Girato forse per gioco, come atto goliardico o scherzo fra amici, forse persino senza che lei sapesse, e finito, come già successo nel caso di Tiziana Cantone, al centro di un meschino e subdolo passaparola via social. “Amico” dopo “amico”, ogni persona che rideva di lei vedendo il filmato prima di inviarlo ad altri, che la giudicava, che la additava come “puttana” dicendole che se l’era “meritato”, che avrebbe dovuto avere “più cervello”, che “se certe cose le fai poi ti prendi pure le conseguenze”, rappresentava per Michela un macigno che, lentamente, la affossava, precipitandola in uno stato di sconforto. Fino a quando, ospite di un’amica alla Maddalena, ha deciso che l’umiliazione era troppo grande da sopportare, e si è uccisa.

Un suicidio, quindi nessun colpevole materiale; nessuno che abbia premuto un grilletto, o affondato un coltello per porre fine alla sua vita. Troppo facile, però, semplificare così la vicenda di una ragazza che è vittima non solo dell’ignoranza, ma di un’intera cultura maschilista e retrograda intrisa di pregiudizio e fintamente puritana, che punta il dito contro una donna solo perché priva di remore nel mostrare la propria emancipazione sessuale; o, come sembra nel caso di Michela, probabilmente persino inconsapevole di essere filmata. Per questo, oggi la Procura di Tempio Pausania ha iscritto due persone nel registro degli indagati per la sua morte, con l’accusa di diffamazione aggravata con la morte come conseguenza di altro reato. Una formula fredda per dire che Michela si è tolta la vita per la diffusione, via Internet, del video intimo che la riguardava.

La Procura ha accusato due giovani di 24 e 29 anni, Mirko Campus e Roberto Costantino Perantoni, che, oltre a diffondere il video, avrebbero divulgato anche particolari della vita di Michela gettandola nella disperazione, fino al gesto estremo.

Per arrivare ai due la Procura ha impiegato tre mesi in cui sono state sentite centinaia di persone, analizzati foto e video contenuti in computer e cellulari oltre che alle stesse confessioni, che sono state trovate accanto al cadavere della ragazza, in cui lei stessa parlava di ricatti e umiliazioni per via di un vecchio film.

I Carabinieri in un comunicato ripreso dalle principali agenzia di stampa, fra cui l’Ansa, affermano:”gli indagati in concorso tra loro e comunicandolo a più persone, hanno offeso la reputazione di Michela, rivelando, senza il suo consenso, informazioni confidenziali attinenti alla sua vita e abitudini sessuali e, in particolare, hanno mostrato, divulgandolo in questo modo, alcune riprese video e fotografie che ritraevano la giovane mentre consumava un rapporto sessuale”. 

Non è escluso che non arrivi anche il coinvolgimento di un terza persona, di cui si era parlato inizialmente nell’accertamento: sarebbe una ragazza di Ittiri, coetanea di Michela, che attualmente vive e lavora a Londra. Il suo ruolo nella vicenda è ancora da definire.

Ovviamente questo non è il luogo né il momento dei processi e delle condanne, né si può sancire la colpevolezza di una persona solo per un’iscrizione nel registro degli indagati. A questo si penserà solo ed esclusivamente nelle sedi opportune. A noi però piace pensare che per la morte di Michela, vittima della vergogna e della cattiveria, vengano trovati dei responsabili.

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