Terremoto in Siria, Zein al-Assad, figlia 19enne del dittatore, chiede di non aiutare i ribelli

La tragedia ha colpito sia i territori controllati dal regime sia quelli che si oppongono a esso. Mentre viene chiesto di non donare agli oppositori, l'esercito governativo continua a bombardarli nonostante le macerie.

Mentre il bilancio del terribile terremoto nel sud della Turchia e nel nord della Siria è salito a oltre 11mila morti accertati e più di 37mila feriti, un’altra piaga incombe sui territori siriani, quelli controllati dai ribelli. Il regime di Bashar al-Assad non ha interrotto la guerra civile, che dura da 12 anni, nemmeno quando le scosse hanno seppellito cadaveri e feriti nelle macerie di palazzi distrutti. Marea, 25 km a nord di Aleppo, e la zona di Idlib sono state infatti bombardate da raid e cannonate.

Un attacco “davvero insensibile e atroce” – come ha denunciato il governo inglese – che arriva insieme a quello social di Zein al-Assad, la figlia 19enne del dittatore, che dal suo profilo Instagram (@zzzeiiinnn) ha chiesto di non effettuare donazioni ai territori controllati dai ribelli (gli stessi che Assad ha colpito).

La secondogenita del presidente, citando un link di raccolta fondi per i terremotati d’Idlib, ha infatti scritto:

Per favore. Questo è un gruppo che sostiene terroristi a Idlib. Le donazioni non andranno ad Aleppo, a Latakia o a Hama (zone invece sotto il governo di Assad, ndr).

Come informano i media, Zein al-Assad ha sempre vissuto a Londra con la madre, Asma al-Assad, frequentando scuole costosissime e ostentando la sua passione per il cachemire. Il messaggio che ha voluto mandare la giovane tramite la sua piattaforma è ora abbastanza chiaro: il regime rifiuta gli aiuti se diretti in regioni sotto il controllo dell’opposizione (aiuti internazionali che comunque stanno faticando ad arrivare in Siria, meno in Turchia).

Il terremoto ha colpito in Siria sia la zona nord-ovest, controllata dai ribelli, sia i territori del regime di Assad, a cui i ribelli si oppongono. Ancor prima delle scosse, molti fra questi ultimi vivevano già in condizioni precarie, sigillati nei campi profughi e nelle città di cartone, sfollati da altre parti del paese dopo essere sfuggiti al regime.

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