Si torna a parlare di aborto negli Stati Uniti. Come riportato dal New York Times, a seguito di una battuta d’arresto legale riguardante il diritto l’interruzione di gravidanza (la Corte Suprema ha infatti deciso di non bloccare una legge del Texas che proibisce la maggior parte degli aborti), tre rappresentanti democratiche hanno riportato le loro esperienze personali di aborto alla Camera.

La rappresentante Cori Bush è una democratica del Missouri. Infermiera e attivista di Black Lives Matter, ha rivelato di essere sopravvissuta a un stupro a 17 anni e di aver abortito. “Nell’estate del 1994”, ha dichiarato la signora Bush, “sono stata violentata, sono rimasta incinta e ho voluto abortire”.

“Stavo parlando con quest’uomo e all’improvviso lui era sopra di me”, aveva raccontato qualche giorno prima. “Ero sdraiata lì, non sapevo quello che stava accadendo, non mi rendevo conto. Poi ho realizzato che si trattava di un abuso sessuale. Mi sentivo sbagliata, come se avessi fatto qualcosa di orribile” e aggiunge: “quando sono andata ad abortire, sentivo su di me lo sguardo accusatore dei dottori e delle infermiere. Mi sentivo come se non ci fosse pietà verso di me. A tutte le donne che hanno abortito voglio dire che non abbiamo niente di cui vergognarci”.

Non è stata l’unica a prendere la parola sull’annoso tema dell’interruzione di gravidanza. La democratica Pramila Jayapal ha abortito quando era una giovane madre con un figlio molto malato che necessitava di continue cure. Questa situazione ha fatto nascere in lei una profonda depressione e l’arrivo della seconda gravidanza l’aveva gettata nel panico. Il suo medico le aveva detto che portare a termine la gravidanza sarebbe stato estremamente rischioso sia per lei che per il bambino, e questa prospettiva l’ha indotta a scegliere l’aborto. “Avrei tanto voluto un figlio”, ha detto Pramila, “semplicemente non me la sentivo di attraversare di nuovo un periodo del genere”.

Un’altra significativa confessione è arrivata da parte di Barbara Lee, democratica della California e prima cheerleader nera del suo liceo, rimasta incinta prima che l’aborto fosse legale negli Stati Uniti. La giovane Barbara era stata portata allora in Messico da un’amica, dove aveva potuto abortire. “So cosa significa la gravidanza per le donne nere e a basso reddito”, ha affermato. “Molte ragazze e donne della mia generazione sono morte a seguito di aborti non sicuri”, ha aggiunto amareggiata.

Anche la Repubblicana Kat Cammack ha voluto dire la sua. La donna ha affermato, infatti, che “non sarebbe qui” se sua madre, che pur aveva avuto un ictus dopo il primo figlio, avesse scelto di abortire. “Mia madre ha scelto la vita”, ha detto la Cammack, “non è stata una decisione facile per una mamma single”. Una testimonianza, però, che implicitamente veicola il senso di colpa per una scelta (indiscutibile) di migliaia di donne di intraprendere la strada dell’aborto consapevole. I “se” legati all’origine della propria esistenza sono infiniti.

Ora i democratici stanno facendo dell’aborto uno dei temi più importanti della loro campagna elettorale, mentre il repubblicano del Kentucky James R. Comer, ha ribadito l’importanza che il Congresso non finanzi gli aborti con il denaro dei contribuenti.

L’udienza ha oltretutto sottolineato come il tema dell’aborto sia intrecciato al divario razziale in America. La signora Bush ha voluto lanciare un appello a tutte le donne di colore che hanno abortito e che, come lei, sono state discriminate per via del colore della pelle: “A tutte le donne e alle ragazze di colore che hanno abortito voglio dire di non vergognarsene. Viviamo in una società che ha fallito nel legiferare riguardo l’amore e la giustizia per noi. Quindi meritiamo di meglio e chiediamo di meglio.”

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