È morta a 42 anni Verónica Echegui: chi era l’attrice di Yo soy la Juani e Tótem Loba

È morta a 42 anni a Madrid l’attrice spagnola rivelazione con Yo soy la Juani, vincitrice di un Goya con il corto femminista Tótem Loba. Ha dato voce alle donne marginalizzate, alle sopravvissute, alle ribelli.

Verónica Fernández de Echegaray, conosciuta da tutti come Verónica Echegui, è morta a Madrid a 42 anni per un tumore. La notizia, confermata da fonti vicine alla famiglia e riportata da El País, ha colpito profondamente il mondo del cinema spagnolo. In pochi sapevano della malattia, vissuta con riservatezza. Eppure, il suo impatto sulla cultura e sull’immaginario collettivo era tutto fuorché silenzioso.

Verónica Echegui l’eterna Juani, figlia del barrio e icona pop

Echegui ha fatto irruzione nel cinema con Yo soy la Juani (2006), film di Bigas Luna che raccontava il desiderio e la fame di riscatto di una ragazza della periferia. Fu scelta tra tremila aspiranti: “Mi presentai al provino con il chándal più vistoso che trovai da Bershka”, raccontava. L’energia che mise nel ruolo la rese iconica, tanto da essere candidata al Goya come miglior attrice rivelazione.

Ma Verónica non ha mai voluto restare imprigionata in un solo personaggio. Ha attraversato la commedia (La gran familia española, Explota explota), il dramma (El patio de mi cárcel, Katmandú di Icíar Bollaín), l’introspezione (La mitad de Óscar), e anche il cinema internazionale (The Cold Light of Day, ¡Déjate llevar!).

Verónica Echegui nel cinema italiano

Verónica Echegui era conosciuta anche in Italia per la sua interpretazione in Lasciati andare (2017), film diretto da Francesco Amato, in cui recitava accanto a Toni Servillo, Carla Signoris e Luca Marinelli. In quel ruolo, ironico e fisico, confermava la sua capacità di oscillare tra leggerezza e profondità, tra carisma e vulnerabilità.

Una regista che ha messo in scena il trauma

Nel 2022 vinse il Goya per il miglior cortometraggio con Tótem Loba, da lei scritto, diretto e prodotto. Un racconto ispirato a un episodio di abuso subito da adolescente: “Non c’è tradimento peggiore di quello verso se stesse”, diceva. Il corto, ambientato in una festa di paese dove uomini mascherati da lupo “cacciano” le donne, è una potente metafora sulla cultura dello stupro e sulla normalizzazione della violenza di genere.

Con quel lavoro Echegui si è messa apertamente dalla parte delle sopravvissute, raccontando come “se c’è qualcosa che ti sembra sbagliato, anche se tutti ti dicono che è normale, devi ascoltare te stessa”.

Il coraggio di dire “io ci sono stata”

In un’intervista del 2020 alla rivista Icon, aveva raccontato di essere stata vittima di abusi in tre occasioni: da parte di un attore su un set, di un produttore durante un casting, e di un massaggiatore in un hotel. Parole coraggiose in un’industria che ancora fatica a fare i conti con il proprio lato oscuro.

“Prima era tutto normalizzato. La responsabilità era solo nostra: dovevamo stare attente, dovevamo scegliere bene con chi andare”, diceva.

Il talento di chi sa vedere oltre

Echegui aveva una straordinaria capacità di “sentire” le trasformazioni sociali, come le aveva insegnato Bigas Luna: “Mi diceva che il futuro sarebbe venuto dal barrio, che le estetiche dei poligoni industriali avrebbero influenzato la moda e il costume. E aveva ragione”, raccontava.

Non era solo un’attrice: era una narratrice di vite al margine, una performer capace di mescolare sensualità e inquietudine, una donna che non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani con ruoli difficili, corpi imperfetti, parole scomode.

Una eredità luminosa, nonostante il buio

Verónica Echegui lascia una filmografia piena di sfide e di donne indimenticabili. Come la giovane cieca che vuole diventare madre in Seis puntos sobre Emma, o la giudice in crisi etica nel recente Justicia Artificial, dove denunciava il lato oscuro dell’intelligenza artificiale nel sistema giuridico.

Aveva solo 42 anni, ma ha lasciato segni che durano. Come una lacerazione. O come una promessa.

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