Europa "zona di libertà" LGBTQIA*: su 141 voti contrari 31 sono italiani

Con una risoluzione l'Europa si definisce "zona di libertà" per le persone LGBTQIA*, in risposta ai provvedimenti discriminatori adottati da Polonia e Ungheria. Fra i (pochi) voti contrari anche quelli di 31 europarlamentari italiani.

Nella giornata di giovedì 11 marzo il Parlamento Europeo è stato chiamato a votare in merito a una risoluzione per dichiarare l’Europa una “zona di libertà” per le persone LGBTQIA*, in risposta ai provvedimenti attuati da diverse autorità locali polacche che si sono dichiarate “zone libere da persone LGBTQIA*”, facendo esplicitamente intendere di considerarle come non benvenute.

La risoluzione è stata adottata con un’ampia maggioranza: 492 i voti a favore, 46 astensioni, ma quelli che spiccano, purtroppo, sono alcuni numeri all’interno dei 141 che hanno votato contro la sua attuazione.

Assieme ai deputati polacchi, il gruppo più nutrito di “no” è infatti costituito dagli europarlamentari italiani: ben 31, infatti, i voti contrari, provenuti da Lega (23), Fratelli d’Italia (5), ex membri della Lega (2) e Forza Italia (1).

Matteo Adinolfi, Simona Renata Baldassare, Alessandra Basso, Mara Bizzotto, Paolo Borchia, Marco Campomenosi, Massimo Casanova, Susanna Ceccardi, Angelo Ciocca, Rosanna Conte, Gianantonio Da Re, Francesca Donato, Danilo Oscar Lancini, Elena Lizzi, Alessandro Panza, Luisa Regimenti, Antonio Maria Rinaldi, Silvia Sardone, Annalisa Tardino, Isabella Tovaglieri, Lucia Vuolo, Stefania Zambelli, Marco Zanni, Sergio Berlato, Carlo Fidanza, Pietro Fiocchi, Nicola Procaccini, Vincenzo Sofo, Raffaele Stancanelli, Andrea Caroppo e Massimiliano Salini, i deputati che hanno votato contro l’istituzione della risoluzione, il cui scopo, come si legge, è garantire la libertà delle persone LGBTQIA* e la loro tutela da atti di discriminazione e violenza.

Queste le parole con cui gli eurodeputati hanno approvato la risoluzione.

Le persone LGBTQIA* ovunque nell’UE dovrebbero godere della libertà di vivere e mostrare pubblicamente il proprio orientamento sessuale e la loro identità di genere senza timore di intolleranza, discriminazione o persecuzione, e le autorità a tutti i livelli di governance in tutta l’UE dovrebbero proteggere e promuovere l’uguaglianza e la fondamentale diritti di tutti, comprese le persone LGBTQIA*.

I risultati totali della votazione sono consultabili nel sito del Parlamento Europeo, a questa pagina, sotto la dicitura “Risultati, votazioni per appello nominale – 11/03/2021”.

Come detto, la risoluzione viene adottata per porre un freno ad alcuni provvedimenti attuati in Polonia, dove, a partire dal marzo del 2019, praticamente di pari passo con la svolta iperconservatrice che ha portato anche all’abolizione quasi totale dell’aborto, molti comuni si sono schierati apertamente contro la comunità LGBTQIA*, sostenendo di scoraggiare la tolleranza nei confronti delle persone che vi appartengono e di ritirare l’assistenza finanziaria alla organizzazioni che si fanno promotrici di non discriminazione e uguaglianza.

La situazione della comunità LGBTQIA*, nel Paese, non è peraltro delle più semplici, proprio perché è spesso soggetto di discriminazioni e attacchi, nonché al centro di discorsi d’odio da parte delle autorità pubbliche, compreso lo stesso attuale presidente, Andrzej Duda, il quale ha più volte rimarcato come “l’ideologia LGBTQIA* sia ancora più distruttiva di quella del comunismo“. Tanto che più volte i deputati UE hanno chiesto alla Commissione di usare tutti gli strumenti a disposizione, comprese le procedure di infrazione di cui all’articolo 7 della trattato sulla UE, per frenare le violazioni dei diritti fondamentali delle persone LGBTQIA*.

Anche perché il rigurgito anti-LGBTQIA* sembra aver valicato i confini polacchi, estendendosi anche in Ungheria, dove, nel novembre del 2020, la città di Nagykáta ha adottato una risoluzione che vieta la “diffusione e la promozione della propaganda LGBTQIA*”, mentre solo un mese più tardi il Parlamento nazionale ha adottato emendamenti costituzionali che limitano ulteriormente i diritti delle persone LGBTQIA*, che non tengono conto dell’esistenza di persone transgender e non binarie e limitano il loro diritto a una vita familiare.

Si spera che a seguito di questa risoluzione l’Europa prenda seri provvedimenti nei confronti della Polonia, rimane però la grande amarezza di sapere che l’Italia è stata il secondo Paese a esprimere più voti contrari, a riprova di come da noi l’omobitransfobia non sia affatto un problema di poco conto, a dispetto di tutti i proclami fatti da quella stessa parte politica che ha poi votato contro.

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