Di recente stiamo assistendo a una durissima campagna dei cosiddetti movimenti pro-vita (che sarebbe meglio chiamare anti-scelta) e delle relative correnti politiche, affinché si limiti sempre più l’accesso a un aborto libero e sicuro per tutte le persone che desiderano farlo.

Dalla Polonia al Texas, è davvero inquietante assistere all’avanzata di tale oscurantismo, cieco di fronte all’evidenza, comprovata, che vietare l’aborto non lo ha mai davvero fermato, lo ha reso solo molto più pericoloso.

Basterebbe questo per comprendere che leggi come la 194 non sono solo giuste, sono necessarie. Invece ci tocca assistere a sempre più inquietanti (e volutamente fuorvianti) campagne degli anti-scelta e del vandalismo di quelle che invece cercano di difendere un diritto sacrosanto.

Lo sa bene Alice Merlo, attivista che ha prestato il volto alla campagna dell’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) “Aborto farmacologico – una conquista da difendere” e che si è ritrovata in un manifesto a Brescia con una svastica (disegnata male, ma non c’è nulla da ridere, come scrive Alice stessa) in fronte e l’accusa di essere un’assassina scritta nera su bianco.

L’aborto non è un affare che dovrebbe interessare chi non ha intenzione di abortire. È un concetto tanto semplice, quanto poco applicato. Molte persone contrarie non si limitano semplicemente a non abortire, ma vorrebbero imporre la propria scelta a tutti quanti. Una sorta di proselitismo che nella loro testa dovrebbe essere guidato dalla difesa integerrima della vita. La vita in potenza, di quella reale invece frega molto poco.

La strada che conduce verso questi estremismi (che apparirebbero quasi ridicoli nella loro assurdità, se non fossero così pericolosi) è lastricata però dalle “buone intenzioni” di chi difende sì la libertà di scelta, ma non può proprio tollerare che se ne parli in modo sereno, senza l’aura di tragedia che quasi sempre accompagna ogni dibattito sull’aborto.

Ne ha parlato Alice stessa in questo suo post. Continuare a dipingere l’aborto solo come un’esperienza altamente dolorosa spiana la strada a chi poi si sente legittimato a togliere la libertà altrui in nome di quella vita stroncata che tanta sofferenza procura.

Si può discutere, litigare e arrabbiarsi. Si può filosofeggiare e portare dati medici come prova. Il fatto è che al principio dell’esistenza, il confine tra ciò che è vita e ciò che ancora non lo è è davvero labile.

Spetta solo alla persona che ha in corpo tale “paradosso” decidere che interpretazione dare, senza che nessun altro si senta legittimato a dirle cosa fare o come debba sentirsi. Pare un’esagerazione, ma da “l’aborto è sempre un dramma” alle svastiche per le strade la via è più corta di quanto penseremmo.

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