L’errore c’è stato, ma il risarcimento deve essere ridotto perché lei ha avuto un altro bambino.

È questo, in sostanza, che Barbara Speranza si è sentita dire dallo staff legale dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dopo che, il 21 ottobre 2020, la sua bambina, G., di appena 4 anni e mezzo, ha perso la vita per un’occlusione intestinale scambiata dai medici per gastroenterite.

Andiamo con ordine: dopo la morte della piccola un pediatra, un radiologo e un chirurgo vengono condannati con rito abbreviato in primo grado per omicidio colposo, perché il Tribunale di Bologna riconosce che la causa della morte siano state le omissioni e le sottovalutazioni dei sanitari; ma la battaglia legale, per la famiglia della vittima, è appena iniziata.

Nel procedimento civile portato avanti per il risarcimento e la quantificazione del danno arriva la beffa per la mamma, Barbara Speranza: lo staff legale del Sant’Orsola, facendo valere il diritto di costituirsi in giudizio e di portare avanti le proprie valutazioni (trattandosi a maggior ragione di soldi pubblici) chiede al giudice di tenere in considerazione la capacità della donna di reagire alla morte della figlia, visto che, a distanza di un anno, ha avuto un altro bambino.

Non hanno argomentazioni, dicono che io starei bene perché ho avuto un altro figlio, quindi il mio dolore e il mio risarcimento deve essere contenuto – ha commentato Speranza al Corriere – Quando è arrivato quest’atto dai legali del Sant’Orsola i miei avvocati civilisti Pierpaolo Mazzoli e Marco Ferrari mi hanno chiamata e mi hanno detto di leggerlo con calma, sapevano che mi avrebbe fatto male. Sono profondamente ferita.

Barbara Speranza parla di strumentalizzazione di minore, quella condotta dall’ospedale nei confronti del figlio di un anno usato “per dire che non devo aver sofferto più di tanto“, atteggiamento che la donna trova “gravemente irrispettoso nei confronti miei, della mia bambina e del suo fratellino“.

E per rafforzare la sua posizione racconta:

Io non ho più una vita, non ho più entusiasmo per nulla, per fortuna ho ancora un lavoro, ma ho fatto riunioni in lacrime, e ogni nuovo giorno che devo affrontare è un giorno in più senza la mia bambina. Avere un altro figlio è stata una gioia immensa ma segnata dal dolore, perché il lutto non passa, la mia vita è comunque distrutta e non dovrei neanche giustificarmi, ma le argomentazioni portate dal Sant’Orsola mi hanno fatta sentire come se dovessi giustificarmi per la nascita di mio figlio.

Speranza, amareggiata, aggiunge ancora:

Ho avuto un figlio dopo i 40 anni in una famiglia devastata dal dolore, qualcuno può pensare che sia stato semplice? E invece il Sant’Orsola vuole venirmi a dire che questo dimostra che sostanzialmente la perdita della mia bambina non mi avrebbe completamente distrutta. Solo a leggerlo mi sento male, e non solo perché si tratta di una grave falsità, ma anche perché vuole dire privare entrambi i miei bambini delle loro identità, i figli non sono sostituibili.

Sul piano penale, come detto, ci sono state le condanne in primo grado per tre membri dello staff medico dell’ospedale felsineo, dopo l’inchiesta bis condotta dal pm Marco Imperato che accusò sei tra medici e infermieri di favoreggiamento personale, falso ideologico e omissione di soccorso in virtù delle dichiarazioni rese dopo la morte della bambina e delle annotazioni riportate sulla cartella clinica.

Quattro persone furono prosciolte, mentre un altro medico – all’apice dello staff – e un’infermiera sono tuttora a processo.

Dopo tutto quello che ho dovuto sentire durante l’inchiesta, dopo tutte le bugie, su quella giornata in cui io e mia figlia siamo state abbandonate a noi stesse nel reparto di osservazione breve intensiva del pronto soccorso pediatrico del Sant’Orsola, con la mia bambina che stava malissimo, adesso mi è arrivata addosso anche questa cosa – conclude Barbara Speranza – Mi hanno strappato via mia figlia, ovvio che con un bambino di un anno mi aggrappo a tutto quello che ho dentro me stessa per andare avanti, ho trovato la forza di mettere al mondo questo bambino, ma vogliono demolire anche questo filo che mi tiene attaccata alla vita, perché demolirmi psicologicamente è l’unico strumento processuale che hanno?

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