Non tutti sanno che anche in caso di aborto spontaneo o terapeutico dopo il 180° giorno di gestazione (ma anche nel caso in cui il bambino morisse durante il parto o durante il congedo di maternità) si ha diritto al normale congedo di maternità o paternità. Ma andiamo più a fondo nella questione.

Prima che trascorrano 180 giorni dalla fase iniziale della gestazione, un evento è classificato come aborto, come specificato nell’articolo 12, comma 1, del Dpr n. 1026/1976, e l’astensione dal lavoro rientra nella malattia. Dopo il 180° giorno (incluso) l’aborto è invece considerato un parto a tutti gli effetti. Di conseguenza, la lavoratrice ha diritto al congedo di maternità.

Questo potrà essere valutato contando 300 giorni all’indietro dalla data presunta del parto e aggiungendo 180 giorni a tale risultato. Per ottenere i benefici legati al parto, la dipendente deve presentare entro 15 giorni dalla data del parto il certificato di assistenza al parto, che attesti l’effettiva data dell’evento.

Nel caso di aborto spontaneo, è richiesto che entro 15 giorni venga presentato il certificato medico che documenti il periodo di gravidanza in cui si trovava la lavoratrice. Nel caso di aborto volontario, la lavoratrice naturalmente non è soggetta a tale obbligo, e le certificazioni da fornire per giustificare l’assenza sono quelle abitualmente richieste in caso di malattia che richiede il ricovero in ospedale.

In caso di aborto, il Decreto Legge n. 119, approvato il 18 luglio 2011, ha introdotto la possibilità di ritornare all’attività lavorativa in qualsiasi momento, previo avviso di dieci giorni al datore di lavoro. Questa opzione è condizionata alla certificazione da parte del medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o di un medico convenzionato, nonché dal medico esperto che si occupa della sicurezza e della tutela della salute nei luoghi di lavoro. Quest’ultimo deve attestare che tale scelta non nuocerà alla loro salute.

Dal marzo 2021 anche i padri sono tutelati e godono dello stesso periodo di congedo che hanno in caso di parto anche in caso di aborto, ovvero 10 giorni lavorativi.

Il congedo di paternità in Italia

Ricordiamo che con il decreto legislativo del 30 giugno 2022 numero 105 si è stabilito che il genitore maschio impiegato cessa l’attività lavorativa per un intervallo di 10 giorni lavorativi all’interno del lasso di tempo che va dai 2 mesi precedenti la data stimata del parto fino ai 5 mesi successivi alla nascita.

Questi 10 giorni non sono divisibili in ore e sono utilizzabili anche in modo disconnesso. La licenza può essere utilizzata anche in caso di decesso del figlio.

Nel caso di nascita di più bambini contemporaneamente, la durata del periodo di assenza è estesa a 20 giorni lavorativi. Importante precisare che il periodo di congedo è assicurato anche anche al padre che ha adottato o al padre affidatario. Il padre riceverà un’indennità equivalente al 100% del suo stipendio.

I giorni di assenza possono essere utilizzati dal padre anche durante il periodo di licenza di maternità della madre che lavora e sono compatibili con l’utilizzo, in giorni diversi, del periodo di assenza di paternità alternativo.

Cosa prevede la legge per le madri lavoratrici autonome e/o iscritte alla Gestione Separata

Le norme riguardanti la gravidanza per le donne iscritte alla Gestione Separata dell’INPS sono diverse, in certi casi, dalle disposizioni destinate alle donne impiegate, mentre in alcune altre sfaccettature risultano equivalenti.

Per ottenere l’opportunità di usufruire del periodo di congedo maternità e della relativa sovvenzione, è essenziale essere iscritte esclusivamente presso la Gestione Separata dell’INPS e aver versato almeno un mese di contributi nei 12 mesi precedenti ai 2 mesi antecedenti la data del parto. Inoltre bisognerà aver versato per lo stesso mese l’aliquota aggiuntiva dello 0,72% come stabilito dalla normativa.

La neomamma ha quindi diritto a una indennità pari all’80% del suo reddito, in modo identico a quanto percepisce una lavoratrice dipendente.

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