La Corte costituzionale, in seguito alla sentenza n. 161 del 2023, si è appellata alla legge 40 del 2004, ribadendo l’irrevocabilità del consenso dell’uomo alla nascita del figlio: dopo la fecondazione dell’embrione, infatti, anche a distanza di anni, un uomo non può sottrarsi dalla responsabilità (assunta in precedenza) di diventare padre. Ciò significa che una donna ha il diritto di intraprendere una gravidanza con l’embrione concepito con l’ex marito, anche se quest’ultimo dovesse dichiararsi contrario.

Proprio in questi giorni, nelle aule del Tribunale di Roma, come spiegato dalla professoressa di diritto privato Stefania Stefanelli dell’Università di Perugia, i giudici che si sono occupati del caso di una coppia residente nel Lazio hanno confermato “la logica della legge 40 e la differenza tra uomini e donne rispetto alle scelte che riguardano la gravidanza”. In particolare, nel 2018 i due ex coniugi avevano deciso di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (pma), firmando il consenso per la crioconservazione dell’embrione in vitro in una clinica.

Tuttavia, come si legge tra le pagine de Il Corriere della Sera, l’anno successivo la coppia è entrata in crisi, separandosi legalmente. Successivamente, nel febbraio del 2020, la donna ha chiesto di poter intraprendere la gravidanza con l’embrione conservato dai medici nella clinica. La struttura, tuttavia, si è opposta all’impianto e, qualche mese più tardi, l’ex marito ha chiesto il divorzio. L’uomo, inoltre, voleva negare il consenso alla nascita del figlio tramite fecondazione assistita.

La richiesta dell’ex marito è finita davanti al giudice del Tribunale di Roma che, a sua volta, ha rinviato il caso alla Corte costituzionale che ha deciso di appellarsi alla logica della legge 40: “Prima di fare la pma uomo e donna devono firmare un consenso informato – ha dichiarato Stefanelli in merito alla normativa in questione – Da cui dipende lo status di figlio del bambino che nascerà a quella procedura”.

La legge permette di revocare il consenso degli aspiranti genitori solo fino al momento in cui viene formato l’embrione e si ha un nuovo ‘principio di vita umano’ dall’unione di due Dna (…).

Come ricordano i giudici – ha proseguito la professoressa riferendosi alla sentenza della coppia divorziata – L’uomo quando firma il consenso, viene informato delle responsabilità irrevocabili che assume”, soffermandosi sulla finestra temporale prevista dalla legge per consentire all’aspirante papà di tornare sui suoi passi:

Ed è per questo che passano per legge minimo sette giorni tra la firma del consenso e la fecondazione dell’ovulo (quindi la formazione dell’embrione): per dare al futuro padre il tempo di ripensarci.

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