Femminicidio Vanessa Ballan e l’esito del test di paternità che serve alla giustizia, non ai social

Arrivati gli esiti del test di paternità sul feto che Vanessa Ballan portava in grembo al momento del suo femminicidio. Se conoscerli ha un senso per il corso processuale, diverso è il discorso per media e social, su cui alcuni non hanno perso occasione per colpevolizzare (di nuovo) la ragazza uccisa il 19 dicembre scorso.

L’esito del test di paternità eseguito sul feto che Vanessa Ballan portava in grembo al momento del suo femminicidio è stato reso noto e divulgato da vari media, scatenando reazioni di diverso tenore. Il figlio che Ballan portava in grembo era infatti del suo compagno Nicola Scapinello, ma a prescindere dal risultato del test, la sua stessa divulgazione era destinata a scatenare una reazione social, prevista e anzi auspicata da alcuni titoli che hanno deciso di presentare l’informazione per attivare e intercettare una certa morbosità del pubblico.

Gran parte dei commenti lasciati sotto i post delle pagine social dei giornali che hanno deciso di pubblicare la notizia tendono a sottolineare per fortuna quanto poco importante sia il dettaglio della paternità, a fronte di un femminicidio perpetrato con tanta violenza e ferocia, ma non manca anche chi, come ancora troppo spesso accade, punta a responsabilizzare la vittima per la sua condotta, empatizzando in qualche modo con l’assassino.

Un po’ come accaduto, per intenderci, con Carol Maltesi, massacrata e fatta a pezzi da Davide Fontana, sulla cui vita privata e sulle cui scelte professionali molti si “divertirono” a speculare.

Ancora una volta ci troviamo a dover ripetere che le scelte personali non possano – né dovrebbero mai – essere usate come pretesto per deresponsabilizzare il colpevole di un femminicidio e, sul fronte opposto, colpevolizzare la vittima.

Vanessa Ballan venne uccisa sulle scale di casa il 19 dicembre scorso dal kosovaro Bujar Fandaj, con cui aveva intrattenuto una breve relazione al di fuori del legame che aveva con il compagno, Nicola Scapinello; e questo fu, ed è tuttora, per alcuni motivo sufficiente per puntare il dito, ancora una volta, contro la vittima, “rea” di non aver vestito i panni della “compagna modello”, fedele e “legata al proprio uomo”.

Fonte: Facebook @Il Gazzettino
Fonte: instagram @Il Gazzettino
Fonte: Facebook @Il Gazzettino

Di contro c’è però anche chi giudica irrispettosa e insensibile la scelta della Stampa di riportare gli esiti del test di paternità, eseguito per scopi che, nella dinamica processuale, hanno la loro rilevanza, come chiarito anche dal procuratore di Treviso Marco Martani, e quindi in realtà, per diritto di cronaca, si tratta di un’informazione che i giornali possono legittimamente fornire, ma usare questo dettaglio come titolo o cardine di articoli palesemente destinati a essere messi in pasto alla fame morbosa di un pubblico alla ricerca dello “scandalo” (manifesto o evitato che sia) va al di là di ciò che dovrebbe essere l’etica giornalistica.

Se dal punto di vista delle indagini, infatti, stabilire la paternità del feto di cui Ballan era incinta di circa dodici settimane può servire per trovare un eventuale movente al femminicidio, come spiegato dagli inquirenti e dai legali, esporre la notizia sui social focalizzandosi su questo dettaglio non sembra avere altro scopo se non quello di un voyeurismo implicito e di una morbosità rispetto a un particolare che non aggiunge o toglie dignità alla vittima né alla sua vicenda, e che, come abbiamo visto, può invece diventare per qualcuno motivo di colpa e di pubblico sdegno.

Molte persone hanno infatti accolto la notizia come una prova della “dignità riconquistata” di Ballan, che altro non è se un ulteriore esempio di come si continui a soppesare colpe e meriti delle vittime, la cui dignità non dovrebbe essere messa in discussione, tantomeno, lo ripetiamo, da questioni e scelte personali che non aggiungono né tolgono nulla alla gravità della violenza subita.

Vanessa Ballan, secondo l’esame autoptico effettuato dall’anatomopatologo Antonello Cirnelli, è stata uccisa da otto coltellate, di cui due hanno lesionato i polmoni e trapassato il cuore da parte a parte. Prima di essere colpita a morte la ragazza è stata picchiata al capo e al volto, e ha cercato di difendersi con le mani.

Per il gip il suo femminicidio è “lungi dal trattarsi di un raptus omicida. L’indagato ha agito con premeditazione. Ha pianificato il delitto, scegliendo il momento adatto, aggirando la telecamera di sicurezza che riprende l’area dell’ingresso, predisponendo gli strumenti necessari (martello per sfondare la porta, coltello per ucciderla) con lucida ferocia”.

Bujar Fandaj, che durante l’interrogatorio di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere, si trova in carcere attualmente in carcere a Treviso, in attesa di essere di nuovo ascoltato dal pubblico ministero Michele Permunian, il prossimo 30 gennaio.

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