Marieke Vervoort è morta all’età di 40 anni, il 22 ottobre 2019, nella sua casa di Diest, in Belgio, con i genitori e i suoi amici al suo capezzale, dopo una piccola festa, proprio come aveva desiderato.

Ora un film-testamento sulla sua vita, Addicted to Life (qui il trailer), diretto da Pola Rapaport, ripercorre le tappe più importanti della sua vita e della sua carriera fino al momento in cui ha deciso di fare ricorso alle leggi belghe sulla morte assistita.

Vervoort è stata una atleta paralimpica che ha battuto il record del mondo e ha vinto un argento e un bronzo nelle gare dei 400m e dei 100m in carrozzina T52 di Rio de Janeiro 2016, oltre all’oro e all’argento conquistati alle Olimpiadi di Londra quattro anni prima, ed era affetta da una malattia incurabile e degenerativa che le causava dolori atroci, la distrofia simpatico-riflessa.

Dopo le Olimpiadi di Rio aveva annunciato di aver firmato i documenti per l’eutanasia nel 2008, un atto che, a suo dire, l’aveva salvata dal suicidio. “Con l’eutanasia si è sicuri di avere una morte dolce e bella”, ha detto ai giornalisti all’epoca. “C’è una sensazione di pace, una sensazione di riposo sul mio corpo… posso scegliere fino a che punto andare”.

Quando la regista Pola Rapaport è venuta a conoscenza della sua storia è rimasta subito incuriosita dall’atleta. “Ero così commossa e incuriosita da una persona giovane, bella, una donna sportiva straordinaria, che ha visto che la sua malattia l’avrebbe portata a un punto in cui sarebbe morta più giovane della maggior parte delle persone”, ha detto la regista al Guardian. “E ha visto che il diritto di scegliere il suo destino, qualunque esso sia, le ha dato una tale liberazione emotiva, che da quel momento ha potuto vivere pienamente la sua vita”.

Nel film Marieke Vervoort racconta di aver meditato il suicidio nel 2007, quando le sue condizioni si sono aggravate, impedendole di partecipare alle gare di ironman e triathlon “che erano la mia vita”.

Dopo una lunga procedura, che ha richiesto il consenso di tre medici e colloqui con uno psichiatra, ha ottenuto i documenti per l’eutanasia. “Hai la tua vita nelle tue mani e puoi dire quando è abbastanza”, ha dichiarato nel film.

Il Belgio è uno dei pochi Paesi in cui la morte assistita è legale, e le condizioni per accedervi sono rigide. La persona deve essere “in una situazione medica senza speranza” e in uno stato di sofferenza fisica o psicologicacostante e insopportabile”, inoltre deve dimostrare di avere la capacità mentale per prendere questa decisione.

Le riprese sono proseguite per tre anni, mentre le condizioni di Vervoort peggioravano. A un certo punto del film l’atleta osserva: “Ora ho 38 anni, dovrei essere nel fiore degli anni, ma tutti i miei movimenti provocano dolore”.

Nel film, della durata di 90 minuti, si susseguono scene toccanti che mostrano da vicino la sofferenza di Marieke Vervoort, ma anche il modo in cui famigliari e amici hanno vissuto la situazione, e scene eccitanti della vita dell’atleta mentre fa bungee-jumping sulla sua sedia a rotelle, paracadutismo indoor e corse su una Lamborghini.

Verso la fine del film, sono ripresi i suoi ultimi giorni. La morte di Vervoort, come stabilito fin dall’inizio, non è stata filmata.

Rapaport, già sostenitrice del diritto alla morte, spera di portare la storia di Vervoort a un pubblico internazionale. Per la regista l’eutanasia è un diritto umano. “Le persone dovrebbero avere il diritto di dire se vogliono essere aiutate da un medico all’ultimo momento. Se stanno per morire comunque, questo non è suicidio”, ha detto.

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