La vera storia del collettivo di guerriere afghane a cavallo

La vera (e appassionante) storia del gruppo di guerriere afghane a cavallo che ebbero un ruolo chiave nella guerra tra Stati Uniti e Afghanistan all'inizio del 2000.

Nelle remote montagne dell’Afghanistan settentrionale viveva un collettivo unico e coraggioso, composto esclusivamente da donne guerriere, che con grande audacia proteggevano se stesse e la loro comunità dalle costanti minacce che incombevano su di loro. Nell’anno 2001, vennero chiamate a collaborare con le forze armate degli Stati Uniti. Nel dettaglio, avrebbero dovuto aiutare ad addestrare i cavalli, una missione vitale volta a preparare le forze USA a fronteggiare gli attacchi dei talebani.

Il libro intitolato Book of Queens: The True Story of the Middle Eastern Horsewomen Who Fought the War on Terror, scritto da Pardis Mahdavi, una discendente di una di queste donne, narra la vicenda di Mina, divenuta la guida indiscussa del collettivo. Fu personalmente invitata dai Berretti Verdi statunitensi per fornire il suo prezioso contributo.

Mina era solo una bambina di 7 anni quando venne stuprata dal nonno di una sua amica. Quando lo raccontò ai suoi genitori, il padre ebbe uno scatto d’ira contro di lei e la accusò di gettare vergogna sulla famiglia. La madre prese le difese della figlia e questo fece infuriare ancor di più il padre. L’uomo le tirò un forte schiaffo e forse l’avrebbe uccisa se Mina non si fosse frapposta fra i due accoltellando il padre allo stomaco.

Negli attimi concitati che seguirono, Mina e la madre decisero di fuggire dal loro villaggio, portandosi dietro i cavalli di famiglia. Decisero di rifugiarsi nel nord dell’Afghanistan, nelle caverne dove prima di loro molte altre donne si erano rifugiate per scampare a mariti, padri e fratelli violenti. Lì iniziarono una vita semplice ma intensa.

Le donne si alzavano all’alba per curare i cavalli e rammendare abiti e biancheria. Dopo, si dedicavano ad affilare spade, pulire armi e lucidare armature. Ognuna riceveva una placca toracica in metallo argentato da modellare sul proprio corpo. Mina imparò a scaldare il metallo per modellare la sua spada in punte frastagliate che facilitavano il movimento delle mani.

In breve tempo, la madre di Mina divenne generale e Mina un’abile cacciatrice, soldato, tiratrice e assassina. A soli 10 anni uccise il suo primo leopardo, mentre all’età di 11 anni partecipò alla sua prima battaglia contro i signori della droga.

Nel 2001, la madre di Mina e le donne delle caverne avevano rinunciato a tutto per mantenere al sicuro e curare i loro cavalli. La comunità cresceva, raggiungendo oltre 50 membri. La loro fama attirò altre donne locali desiderose di fuggire da abusi domestici o di apprendere abilità equestri e di combattimento. Le donne divennero una famiglia, tanto quanto i cavalli.

Fu in quel periodo che Mina ricevette un messaggio sul suo cellulare Nokia da un membro della sua truppa, posizionato vicino al gruppo di resistenti talebani dell’Alleanza del Nord. Il messaggio diceva: “Berretti Verdi e forze speciali in arrivo. Hanno bisogno di cavalli e formazione”. “Stiamo per fare la storia”, disse Mina ai suoi amici. “Dimostreremo al mondo di cosa siamo capaci”. E così fu.

Nel suo libro Pardis Mahdavi si immerge profondamente nell’antica eredità dei cavalli del Caspio e nelle storie delle donne che con loro costruirono un rapporto unico. Unendo le fila di una ricerca che si estende per decenni e basata su documenti storici, diari di viaggio e informazioni riservate provenienti da fonti militari, Mahdavi tesse un racconto avvincente che rivela il ruolo vitale che questi nobili animali e le donne coraggiose che li hanno guidati hanno svolto nel plasmare il corso della storia.

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