Nel documentario Netflix The Social Media Dilemma, gli intervistati spiegano come rendere la dopamina l’arma migliore per manipolare le emozioni attraverso sistemi di ricompensa immediata. Un esempio su tutti: il pulsante “like” sui social.

Infatti, quando un utente riceve tanti ‘mi piace’, si scatena la dopamina e sentendosi premiato, riconosciuto e applaudito, ne rimane sempre più agganciato.

Nel lontano 2009, Facebook ha introdotto il pulsante “Mi piace”, raffigurato come un pollice in su. Questa innovazione ha aperto la porta a siti web esterni per l’adozione del pulsante, permettendo agli utenti di condividere i propri interessi sui propri profili.

Questo ha inizialmente consentito a Facebook di ottenere accesso alle informazioni sulle attività e sui sentimenti delle persone al di fuori del proprio sito, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza nella pubblicità mirata.

“All’inizio, un ‘mi piace’ poteva indicare un semplice “l’ho visto”, ma col tempo è diventata una corsa frenetica per ottenere quei “mi piace”, non dai tuoi amici o familiari, ma da persone sconosciute”, ha dichiarato Fátima Martinez López, specialista in marketing digitale e social media, autrice de Il libro di TikTok.

“Quando riesci a riunire grandi comunità puoi arrivare a credere che migliaia, e persino milioni di persone ti seguono perché ti ammirano e ti senti “alto”, ma la realtà non è sempre così. Semplicemente, gli utenti indicano che gli è piaciuta una foto o un video che hai condiviso, ecco perché fanno clic su “Mi piace e ti seguono, ma mettono mi piace a molte migliaia di altri utenti”.

E ha aggiunto: “L’ossessione per i like ha portato al trasferimento di milioni di euro/dollari da parte di utenti che acquistano seguaci e “Mi piace” su diverse piattaforme, cercando di creare un’apparente crescita iniziale per poi attirare seguaci e “Mi piace” autentici. Siamo, come esseri umani, curiosamente inclini a giudicare un account in base al numero di seguaci: tendiamo a disprezzare quelli con pochi seguaci e a essere attratti da quelli con molti, spinti dalla convinzione che ‘se così tante persone lo seguono, deve essere interessante’. È in questo modo che molti utenti hanno costruito la propria base di follower”.

Il pulsante ha quindi assunto una innegabile capacità manipolativa. “È un modo per misurare chi sei – falsamente, ovviamente -, quindi è una sorta di falsa pillola della felicità o un sostituto di piacere o soddisfazione. Per me è più importante avere un amico in un brutto momento che avere 100.000 Mi piace da persone che non conosci. Dietro questi “mi piace” c’è un valore economico ed è stato creato un falso status: più follower e “mi piace” hai, più sei importante”.

Il problema sorge quando parliamo di utenti molto attivi. “In questi casi è difficile evitare [l’ossessione dei like], perché tendiamo a confrontarci con persone simili, ed entra in gioco anche una sorta di rivalità”; ha spiegato Lopez.

“D’altra parte, le reti ti aiutano a posizionare il tuo marchio personale e a distinguerti nella tua professione, poiché più “Mi piace” avrai sui social, più i tuoi contenuti verranno mostrati e quindi avrai più opportunità di crescere. E cosa non meno importante è che gli utenti sanno che con i social network possono guadagnare molti soldi. Più follower e interazioni hai, più attraente sarà il tuo profilo in modo che agenzie e aziende ti notino. Pertanto, è un cocktail perfetto per l’ossessione: ego, posizionamento personale o professionale e possibilità di fare soldi”.

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