Si è costituita al carcere femminile di Sollicciano, a Firenze, la donna condannata a 6 anni per avere intrattenuto una relazione con un tredicenne, da cui ha avuto un figlio.

I fatti risalgono al giugno del 2017, e si sono protratti fino al gennaio del 2019; la donna, una oss di Prato oggi trentacinquenne, ha iniziato una vera e propria relazione con un ragazzino di appena 13 anni a cui dava ripetizioni in vista della preparazione all’esame di terza media, al punto da rimanere incinta e avere un bambino, nato nell’agosto del 2018.

La Corte di Cassazione ha sostanzialmente respinto il ricorso del legale della donna, Mattia Alfano, confermando la condanna già pronunciata in appello a sei anni, cinque mesi e 15 giorni per violenza sessuale su minore di 14 anni e atti sessuali con minore.

Essendo, quello imputatole, un reato ostativo, ovvero che non consente di scontare la pena in altri modi se non con il carcere, la donna si è quindi dovuta recare nel carcere femminile più vicino a casa, quello appunto di Firenze, lasciando i figli, nonostante fosse già agli arresti domiciliari da un anno.

Tutto, come detto, è cominciato nel 2017, quando la donna ha iniziato a dare ripetizioni a un ragazzino che frequentava la stessa palestra di arti marziali del figlio; proprio il tredicenne fu il primo a “confessare” non solo la relazione, ma anche l’esistenza del bambino nato da essa, alla madre, accortasi che qualcosa nel figlio non andava, e fu in seguito quest’ultima a sporgere querela nei confronti della oss pratese, sua conoscente, l’8 marzo del 2019.

In un primo momento il figlio, frutto della relazione clandestina tra la donna e il ragazzo, venne riconosciuto dal marito di lei, indagato per alterazione di stato civile, ma in seguito assolto dalla Corte di Appello circa un anno e mezzo fa. L’esame del DNA si è rivelato fondamentale per attribuire definitivamente la paternità del bambino al tredicenne, che, come si legge negli atti della Corte di Appello risalenti al 2022, avrebbe, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, “trascinato la relazione con l’imputata controvoglia, per evitare che lei rivelasse o facesse capire la vera paternità del suo bambino”.

Le sentenze si rispettano – è stato il commento dell’avvocato Alfano a La Nazione – Mi auguro che per questi ragazzi, che hanno bisogno di una mamma, lei possa uscire quanto prima seguendo i percorsi dedicati alle mamme a cui si aprono le porte del carcere”.

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