L’amicizia è un elemento cruciale nella vita di ognuno di noi, che ci fa sentire considerati, amati e parte di una comunità. Tuttavia, spesso ci troviamo a confrontarci con aspettative irrealistiche sull’essere un buon amico, un ideale che può mettere a dura prova le relazioni e generare stress emotivo.

Spesso, ci troviamo immersi in idee preconcette sull’amicizia che ci suggeriscono che un buon amico debba essere sempre disponibile (l’avvento di strumenti tecnologici come Whatsapp ha reso il tutto ancor più problematico), capace di risolvere tutti i nostri problemi e, soprattutto, condividere sempre le nostre stesse opinioni. Per non parlare del fatto che la società ci spinge a considerare chi ha molti amici una persona che ha molto valore. Queste aspettative irrealistiche possono generare stress e insoddisfazione quando ci rendiamo conto che nessuno può essere perfetto in ogni momento.

“Quando vediamo qualcuno da solo, pensiamo subito che la causa della sua solitudine debba essere lui stesso”, ha detto Alicia González, autrice di Amigos Mejores, un volume che passa la setaccio come funzionano le relazioni. “Quando pensiamo agli altri e ci sentiamo soli, anche se per un motivo del tutto giustificato e comprensibile, abbiamo il terrore di verbalizzarlo e prima di mostrarlo preferiamo nasconderlo, perché il giudizio che diamo sugli altri può rimbalzare su di noi. Crediamo che loro faranno lo stesso con noi. La stessa cosa accade se abbiamo “pochi” amici. Tuttavia, con l’età ci si rende conto sempre più che la qualità è molto più importante della quantità”.

Molto spesso vediamo la nostra autostima decrescere quando qualcuno ci addita come “cattivo amico”. E c’è una ragione ben precisa. “Ci è stato insegnato che abbiamo bisogno di rinforzi positivi. Ci aspettiamo e abbiamo bisogno dell’approvazione degli altri, per credere di avere effettivamente valore”, ha dichiarato González. “Cerchiamo negli altri quel “grazie per essere un buon amico” come l’acqua a maggio, perché è allora che pensiamo che valiamo davvero”. Ecco quindi che l’essere un “cattivo amico” “ci fa connettere con il fallimento, l’errore, con il non essere abbastanza, con il non soddisfare le aspettative”.

Secondo Jùlia Pascual, psicologa e direttrice del Centro di Terapia Breve Strategica, “L’etichetta di cattivo amico può generare paura del rifiuto e dell’isolamento all’interno della cerchia sociale, qualcosa di particolarmente doloroso dato il valore che le persone attribuiscono all’appartenenza e all’accettazione”.

E c’è una netta differenza, secondo González, tra le amicizie femminili e quelle maschili. Le prime avvertono infatti una pressione maggiore nelle amicizie rispetto ai secondi. “Le donne si avventurano nel territorio delle relazioni di amicizia partendo da un contesto di ostilità, insicurezza e confronto. Combattono con un bisogno puro e quasi spirituale di connettersi con le loro simili. Questo desiderio coesiste con gli input della società, dei film e dei media che spesso ritraggono le donne come nemiche tra loro. Ritengo che sia proprio qui che risieda la differenza nella gioia, nell’autenticità e nella libertà con cui gli uomini vivono le amicizie fin dalla giovinezza, permettendosi di essere e giocare senza timori, in contrasto con i pregiudizi e le paure che spesso permeano le relazioni femminili”.

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