Una ragazza di Prato ha richiesto di assumere il cognome della madre dopo essere stata abbandonata dal padre, il quale ne nega il saluto anche quando la incontra per strada. L’istanza è stata inizialmente rifiutata dalla Prefettura di Prato, ma è poi stata accolta in ricorso al Tar. I giudici hanno dichiarato che “l’assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell’identità del figlio”.

Nel dettaglio, “Se il padre si disinteressa totalmente dei figli, sia dal punto di vista affettivo che economico, questi ultimi possono chiedere di cambiare il cognome del genitore con quello materno”.

Ma cosa dice, esattamente, la legge riguardo al cambio di cognome? Come ha dimostrato quest’ultimo caso, è possibile modificare il proprio cognome all’anagrafe, ma occorre fare alcune precisazioni. Nel caso dei minori, la richiesta di modifica deve essere presentata congiuntamente da entrambi i genitori. Per i maggiorenni, invece, è possibile effettuare il cambiamento in modo autonomo. La procedura è la stessa e si applica non solo al cognome ma anche alle richieste di modifica del nome.

La richiesta di modifica del cognome deve fornire una chiara esposizione dei motivi che giustificano il desiderio di effettuare tale cambiamento. In passato, era necessario che tali motivi fossero validi e fondati.

Tuttavia, in tempi attuali, è ragionevole concludere che il diritto di entrambi i genitori, così come del figlio che è ormai maggiorenne, di scegliere il doppio cognome è riconosciuto (dal giugno 2022). Quindi è consentito associare al cognome paterno anche ( o solamente) quello materno.

Le motivazioni da fornire alla Prefettura al fine di richiedere la modifica del cognome includono motivi di natura affettiva, situazioni in cui il cognome paterno risulti grottesco o socialmente imbarazzante o circostanze in cui il padre abbia commesso gravi negligenze o reati nei confronti della famiglia.

Per quanto riguarda il caso della ragazza di Prato, il Consiglio di Stato ha dichiarato che, anche se si tratta solamente di un “interesse legittimo” e non di un pieno “diritto di scegliere il proprio nome”, è innegabile che la giurisprudenza abbia progredito da un’approccio che vedeva il cognome come mero simbolo di appartenenza familiare a un processo di rafforzamento del diritto all’identità individuale.

“Il cambio di cognome, in pratica”, hanno concluso i giudici, “costituisce, per la richiedente, lo strumento per recidere un legame solo di forma, impostole per legge, che negli anni ha pesato sulla sua condizione personale, in quanto del tutto estraneo alla sua identità personale”.

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