Stefano Dal Corso sarebbe morto dopo aver assistito a un rapporto sessuale in carcere: è questo quanto dichiarato da un nuovo testimone, che nelle ultime ore si è fatto avanti via mail e con una telefonata.

L’assassino gli avrebbe “rotto l’osso del collo con una spranga e due colpi di manganello” dopo che Dal Corso “ha aperto la porta dell’infermeria e ha assistito a un rapporto sessuale tra due operatori del carcere. È stato cacciato via e ha fatto ritorno nella sua cella”. Sono queste le parole del supertestimone, che dichiara di essere un “ufficiale esterno della polizia penitenziaria”, come riportato da Repubblica.

Questo episodio sarebbe dunque il movente dell’omicidio di Stefano Dal Corso, aggredito dopo aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Il testimone si è rivolto direttamente alla famiglia, inizialmente tramite la loro avvocata, Armida Decina, e poi contattando la sorella della vittima, Marisa.

Del resto, la famiglia Dal Corso non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio dell’uomo, ritrovato morto nella sua cella del carcere di Oristano il 12 ottobre 2022, per il quale si è ipotizzato il suicidio per impiccagione.

Sono molte, infatti, le cose che non tornano, come sottolinea anche l’avvocata della famiglia: “Il letto di Stefano era perfettamente integro – riporta Roma Today –. Non mancava nulla, ma sulla grata della finestra è stato rinvenuto un pezzo di lenzuolo che Stefano per avrebbe utilizzato impiccarsi. La domanda è: da dove viene?”.

Non esistono immagini che ritraggano l’uomo impiccato in cella, né del suo corpo nudo. Nonostante le insistenze della famiglia, inoltre, l’autopsia è stata negata. E poi, quel livido sospetto sul braccio destro.

Al fianco della famiglia, anche la senatrice Ilaria Cucchi: “Possibile che la vita di un detenuto valga così poco?”, si chiede al termine conferenza stampa tenutasi nel marzo 2023 nella sala Nassirya del Senato, come riportato da Roma Today. “Sarò sempre la sorella di Stefano Cucchi e farò quanto è in mio potere per dare supporto a questa famiglia, ma anche per portare avanti la battaglia affinché l’autopsia sia obbligatoria per le morti avvenute in carcere”.

Autopsia, verità, giustizia – aggiunge Marisa Dal Corso –. Mio fratello non si è suicidato, non lo avrebbe mai fatto”.

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