Suicida un altro dei poliziotti presenti all'assalto a Capitol Hill. È il quarto

Gunther Paul Hashida è stato trovato senza vita nella sua casa. È il quarto poliziotto presente all'assalto a Capitol Hill di gennaio a suicidarsi. Mentre le testimonianze dei colleghi su quanto accaduto quel giorno sono agghiaccianti.

Un altro dei poliziotti presenti all’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio scorso, condotto da un gruppo di suprematisti bianchi dopo la sconfitta di Trump alle presidenziali, si è tolto la vita. È il quarto, dopo l’assalto.

Gunther Paul Hashida, agente del Metropolitan Police Department di Washington che il 5 agosto avrebbe compiuto 44 anni, è stato trovato morto nella sua casa in Virginia. In polizia da 18 anni, si è suicidato due giorni dopo l’audizione della Commissione di inchiesta sulla rivolta avvenuta nella sede del Governo americano. Prima di lui, il 10 luglio, anche l’agente Keyle DeFreytag era stato trovato privo di vita; come Hashida, faceva parte dell'”emergency team” inviato ad arginare la furia dei manifestanti.

Ai due poliziotti vanno aggiunti anche Jeffrey Smith e Howard Liebengood: tutti veterani, tutti poliziotti con almeno dieci o quindici anni di servizio, suicidi a distanza di mesi dall’attacco che ha causato nove morti fra le forze dell’ordine – Brian Sicknick, morto il 7 gennaio, colpito da un estintore e da gas tossici – e gli assalitori – ricordiamo, fra gli altri, Ashli Babbitt, la trentatreenne uccisa con un colpo di pistola al petto -.

I media americani non hanno menzionato l’esistenza di biglietti lasciati dai poliziotti suicidatisi, quindi, di fatto, non possiamo sapere con certezza se le loro morti siano effettivamente legate ai traumi lasciati da quella giornata di follia; quel che è certo è che quanto vissuto il giorno dell’Epifania ha lasciato strascichi fisici e psicologici importanti ai poliziotti presenti, come emerge anche dalle loro testimonianze.

Harry Dunn, poliziotto afroamericano, ha riferito quanto gli è stato detto dai ribelli:

Mi hanno insultato come non mi è mai successo da quando indosso la divisa. Mi dicevano ‘negro del c****’ e poi ‘tu non sei americano’.

Il sergente Aquilino Gonell, veterano dell’Iraq:

Non mi sono mai trovato in una situazione del genere, neanche in guerra. Quel giorno ho pensato: ‘Ecco come morirò oggi, cercando di proteggere questa porta del Congresso’.

Profondamente sconvolgente è stato il racconto di Michael Fanone alla Commissione. Stordito e ferito, è stato spogliato della sua attrezzatura, munizioni di riserva, la radio della polizia dal petto e persino del distintivo; colpito con il taser nella parte posteriore del collo, picchiato con pugni e oggetti di metallo, ha sentito parole terrificanti:

Alcuni ragazzi volevano prendermi la pistola e urlavano, ‘Uccidilo con la sua stessa pistola’. Continuavano a darmi scosse elettriche, ancora e ancora e ancora. Penso che stessi urlando, ma non riuscivo a sentire la mia voce. Ho pensato di usare l’arma, ma sapevo che se l’avessi fatto sarei stato facilmente sopraffatto, e mi avrebbero ucciso. Così ho deciso di appellarmi al minimo di umanità che potessero avere: gli ho detto che ho dei figli. Grazie a Dio qualcuno fra loro mi ha aiutato, e mi ha permesso di raggiungere i miei colleghi, che mi hanno tratto in salvo.

Fanone aggiunge di aver riportato diverse ferite, ma soprattutto un disturbo post traumatico da stress e uno stato d’ansia perenne che, a distanza di mesi, lo tiene ancora in scacco; anche i suoi figli, racconta, continuano a convivere con il trauma di aver rischiato di perdere il loro papà. Arrabbiandosi, come dimostra questo video del suo intervento alla Commissione postato dal fratello Peter, Fanone se la prende con l’indifferenza con cui sono stati trattati i suoi colleghi.

Quando mi dicono che l’inferno non esiste, è perché non sono stati lì. E l’indifferenza nei confronti dei miei colleghi è irrispettosa!

La rabbia di Fanone è giustificata da alcune dichiarazioni rilasciate nel corso dello stesso incontro con la Commissione da esponenti repubblicani; il deputato Andrew Clyde, ad esempio, ha definito quanto accaduto a Capitol Hill come “una normale gita turistica”.

Guardare in tv quelli che entravano in Campidoglio e camminavano per la Statuary Hall è stato vedere delle persone muoversi in modo ordinato tra candelieri e cordoni, facendo foto e video. Parlare di insurrezione è una grossa bugia. Al massimo ci sono stati atti di vandalismo. Sapete, se uno non sapesse che è un video del 6 gennaio, penserebbe davvero che si tratti di una normale visita turistica.

Pessima anche la figura di un altro deputato, Ralph Norman, che ha detto di non sapere perché si facesse il collegamento tra gli assalitori e il presidente uscente Donald Trump, quando era stato lo stesso tycoon a fomentare gli animi, sostenendo l’illegittimità della vittoria di Biden, e invitando la folla a marciare verso il Congresso, che la stava certificando.

Quanto accaduto a Capitol Hill, esattamente come succede ai militari impegnati in guerra, ha lasciato conseguenze psicologiche devastanti che tuttavia, come sappiamo, purtroppo non sono spesso considerate alla stregua di ferite fisiche ben più evidenti. C’è ancora un fortissimo stigma legato alla salute mentale, eppure fenomeni come la “sindrome del sopravvissuto”, descritta ad esempio da Primo Levi, o il PTSD sono tutt’altro che rari in chi ha vissuto un evento traumatico o catastrofico particolarmente doloroso. Quanto raccontato dagli agenti presenti quel 6 gennaio può davvero fornire un’idea dell’orrore che hanno visto consumarsi davanti ai loro occhi, e di quanto sia complicato superare quelle immagini ancora adesso, a distanza di mesi.

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