La distruzione sistematica delle abitazioni volta a rendere inabitabile un certo territorio è riconosciuta con il termine, del tutto nuovo per molti, domicide.

La riflessione sul concetto di domicidio è iniziata agli albori del nuovo millennio, tuttavia oggi sta ottenendo sempre più rilevanza. Tale importanza si è amplificata al punto che, all’interno del contesto delle Nazioni Unite, è in corso una discussione circa la prospettiva di classificarlo come un crimine contro l’umanità. Il termine è stato usato negli ultimi tempi per indicare la distruzione delle case di Mariupol, in Ucraina, e poi di quelle presenti sulla Striscia di Gaza. 339 strutture educative sono state distrutte, oltre a 167 luoghi di culto e tra i 26 e 35 ospedali.

Secondo quanto riportato da Patrick Wintor su The Guardian, le valutazioni riguardanti l’entità della devastazione degli edifici nella striscia di Gaza sono attualmente oggetto di dispute. Tuttavia, le più recenti rivelazioni provenienti dall’utilizzo di immagini satellitari suggeriscono che ben 98.000 edifici abbiano subito danneggiamenti prima del 29 novembre.

Hugh Lovatt, esponente del Consiglio Europeo per le Relazioni Estere, ha dichiarato che Israele sta “deliberatamente e metodicamente distruggendo le istituzioni civili e le infrastrutture che saranno necessarie per governare e stabilizzare la Gaza post-bellica”.

Queste informazioni provengono da un’approfondita analisi condotta su dati satellitari Copernicus Sentinel-1 dell’Agenzia Spaziale Europea, eseguita da Corey Scher della City University di New York e Jamon van den Hoek dell’Oregon State University. L’indagine rivela l’entità dei danni inflitti agli edifici e definisce un quadro più dettagliato della devastazione verificatasi prima dell’inizio del cessate il fuoco temporaneo, che successivamente è stato abbandonato.

Come sottolineato da Angela Napolitano in un articolo su Avvenire, le abitazioni vanno oltre la loro natura di costruzioni inanimate; fungono da contesto in cui si originano, modellano il senso di appartenenza e l’identità di coloro che le abitano. La distruzione di tali dimore, senza clemenza, equivale a perpetrare un oltraggio contro la dignità umana.

Questa crescente consapevolezza della gravità del domicidio ha generato una profonda riflessione sulla necessità di proteggere e preservare non solo le strutture fisiche, ma anche il significato più intimo e personale che esse rappresentano per le comunità e le persone coinvolte.

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