Elisabeth Anderson-Sierra, una mamma di tre figli che vive nell’Oregon (Stati Uniti), è entrata nel Guinness World Record per la più grande donazione di latte materno da parte di un individuo, donando 1.599,68 litri. Non è stata certo una gara per la donna, ma un percorso che ha dovuto affrontare dopo aver scoperto di soffrire della sindrome da iperlattazione.

Mi è stata diagnosticata ufficialmente per la prima volta nella primavera del 2015, ma ho iniziato a mostrare segni e sintomi della sindrome da iperlattazione nell’estate del 2014 durante la gravidanza del mio primogenito – ha raccontato a People – Era molto difficile da gestire. Non solo ero una mamma appena nata, ma avevo anche bisogno di imparare come usare i tiralatte e trovare un programma di estrazione”.

Da quando ha partorito il suo primo bambino, otto anni fa, Anderson ha appreso di dover convivere con questa sindrome, una rara condizione medica che induce il corpo a produrre un eccesso di latte materno: “Durante un tipico percorso di allattamento al seno, viene prodotto un ciclo di ormoni che producono la prolattina necessaria per la produzione di latte – spiega – Nel mio caso, ho la ghiandola pituitaria ingrossata e la secrezione è molto superiore a quella normale”.

Con questo eccesso di prolattina, il mio corpo produce latte da solo. E se non lo estraggo per alleviare la pressione, iniziano a verificarsi cose come infiammazioni dei tessuti, mastiti o sviluppo di ascessi.

Presto Elisabeth Anderson ha capito anche che questa sindrome avrebbe sconvolto la sua vita, anche, in termini di tempo: “Non avevo realizzato quanto avrei dovuto cambiare completamente il mio stile di vita per poter accogliere la sindrome”, sottolinea nell’intervista con il magazine.

Estraevo circa dalle 8 alle 10 volte al giorno e ogni sessione di estrazione poteva durare dai 45 ai 60 minuti circa. La sola estrazione equivale a un lavoro a tempo pieno e questo non prende in considerazione cose come il lavaggio e la sterilizzazione delle attrezzature, confezionare e congelare il latte.

“All’inizio, il tempo impiegato per fare tutto ciò che era necessario era molto più lungo a causa delle attrezzature e della tecnologia disponibili all’epoca”, aggiunge spiegando come, con il tempo, abbia compreso come gestire la sindrome da iperlattazione, trovando anche un lato positivo, ossia donare il suo latte materno:

Ho donato il latte dopo la nascita del mio primogenito a un centro che gestisce parte delle mie cure quando sono in maternità. È stato carino perché stavo donando il latte alle persone della nostra comunità, e potevo aiutare a colmare il divario per le donne che avrebbero partorito e non avevano subito il latte, invece di costringerle a dover integrare con il latte artificiale. E avevo ancora così tanto latte che l’ho donato anche fuori dal centro parto della comunità locale: poi ho anche fatto domanda presso una banca del latte che fornisce specificamente prematuri e micro-prematuri, per sostenere i nostri piccolissimi eroi.

Convivere con la sindrome, però, non è semplice e ci sono molti aspetti negativi a livello di salute. Per questo, Elisabeth Anderson ha dichiarato di aver iniziato a pensare a come procedere quando finirà di allattare il suo ultimogenito di  7 mesi:

Avevo già provato alcuni percorsi medici e anche se vedevamo alcuni benefici, gli effetti collaterali erano troppi per continuare con quei piani di trattamento. (…) Una delle opzioni è sottoporsi a una doppia mastectomia per rimuovere il tessuto vero e proprio che crea il latte materno. Avrò ancora molta prolattina nel mio corpo, ma ciò non influenzerebbe i recettori tissutali che la sfruttano per fare più latte.

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