Un uomo di 40 anni riceverà 110mila euro di risarcimento dopo essere diventato impotente in seguito all’operazione di allungamento del pene. A deciderlo è stato il tribunale di Pistoia, il quale ha condannato il medico che ha operato l’uomo, nonché due strutture sanitarie, a pagare i danni al paziente dopo un intervento non andato a buon fine.

L’uomo avrebbe infatti iniziato a soffrire di impotenza, disfunzione erettile e malformazione dell’organo genitale già a un mese di distanza dall’operazione, costata 5mila euro. A questo intervento ne erano seguiti altri di “ritocco” per un totale di una dozzina di operazioni che non hanno fatto altro che peggiorare le problematiche del 40enne, non garantendo peraltro l’allungamento pattuito all’inizio. L’uomo si è quindi sottoposto a due interventi di lipofilling, ma senza alcun risultato. Poi diverse visite poiché, sui genitali, si formavano accumuli di grasso che ne “deformavano l’anatomia”, come si legge nella stessa sentenza riportata da Rai News.

Portato in tribunale, il medico che ha effettuato l’operazione di chirurgia intima si è quindi difeso sostenendo che il paziente avesse fornito il proprio consenso informato, e che avesse anche espresso parere positivo sui risultati, inviandogli dei video a riprova. Nulla da fare, però: il tribunale di Pistoia ha infatti condannato il professionista per non aver valutato adeguatamente la sicurezza delle procedure e dei materiali utilizzati, tra i quali anche l’infiltrazione di silicone vietato dal 1993. Secondo i giudici, infatti, il fatto che l’uomo “non fosse consapevole dei rischi fisici cui andava incontro (e che, poi, si sono verificati) essendo, nell’immediato, soddisfatto del risultato estetico” sarebbe, secondo quanto riportato da Repubblicadel tutto irrilevante. Era compito del sanitario valutare l’opportunità degli interventi”.

Parte della responsabilità, però, è stata attribuita anche al paziente, il quale avrebbe effettuato in autonomia delle iniezioni su presunta indicazione del medico. Una “condotta incauta” che avrebbe causato circa il 30% del danno, e che ha portato i giudici a togliere quindi un terzo della somma dai 153 mila euro di risarcimento indicati inizialmente. Il tribunale ha quindi stabilito un risarcimento di quasi 110mila euro a favore del paziente, dei quali il 60% a carico del medico e il 40% diviso tra le due strutture sanitarie che avevano ospitato gli interventi.

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