Dopo aver trascorso undici anni in carcere per l’omicidio di Reeva Steenkamp, ​​l’ex atleta paralimpico sudafricano Oscar Pistorius è stato rilasciato sulla parola lo scorso venerdì.

Il 14 febbraio 2013 Pistorius uccise la fidanzata 29enne Steenkamp con quattro colpi di pistola nella loro casa a Pretoria. Il Dipartimento dei servizi penitenziari del Sud Africa ha ufficialmente annunciato venerdì che Pistorius è ora in libertà condizionale – a partire dal 5 gennaio 2024 – ed è stato integrato nel sistema di correzioni comunitarie e dovrà seguire dei corsi di gestione della rabbia.

Durante il processo seguito all’omicidio, Pistorius ha affermato di aver sparato con la sua pistola poiché credeva che un intruso si fosse introdotto nella loro abitazione. Si è dichiarato non colpevole, ma i pubblici ministeri l’hanno accusato di aver ucciso intenzionalmente Steenkamp forse dopo un litigio.

Nel 2014, però, è stato giudicato colpevole di omicidio colposo e non omicidio volontario, e gli è stata inflitta una condanna di cinque anni di reclusione. Nel 2015, la Corte Suprema d’Appello ha annullato la precedente sentenza, dichiarando l’ex atleta colpevole di omicidio. Nel 2016 gli è stata inflitta una condanna di 13 anni e cinque mesi.

La madre di Reeva Steenkamp ha comunicato di aver accettato la scelta di liberare l’ex atleta, ma ha sottolineato che la sua famiglia vive in un perpetuo ergastolo emotivo a causa della tragedia. “C’è stata giustizia per Reeva? Oscar ha scontato abbastanza tempo in prigione? Non potrà mai esserci giustizia se la persona amata non tornerà mai più, e nessun periodo di tempo scontato in carcere riporterà indietro Reeva. Noi, che rimaniamo indietro, siamo quelli che scontano una condanna all’ergastolo”.

Ha poi aggiunto: “Il mio unico desiderio è che mi sia permesso di vivere i miei ultimi anni in pace, concentrandomi sulla Fondazione Reeva Rebecca Steenkamp, ​​per continuare l’eredità di Reeva”.

In un’intervista del 2016, Pistorius ha ammesso tra le lacrime: “Ho preso la vita di Reeva e devo conviverci. Sento l’odore del sangue, ne sento il calore sulle mani. Provo quello stesso dolore, sento quello stesso odio per me stesso, quella stessa difficoltà nel capirlo. E guardo indietro e penso: come è possibile che sia successo?”

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