Una donna di 36 anni di Prato aveva programmato le nozze per il mese di settembre 2020, ma era stata costretta a rinviarle a causa della pandemia, che imponeva regole rigide per gli eventi come questo (nella prima fase le cerimonie erano state “congelate”).

Nemmeno quando il nostro Paese stava tentando lentamente di tornare alla normalità, lei è riuscita a sposarsi. In quel periodo, infatti, in un controllo che avrebbe dovuto essere di routine le è stato diagnosticato un tumore al seno, che l’ha costretta a subire un intervento e a sottoporsi alla chemioterapia, quindi a mettere in secondo piano ogni progetto.

Non bastasse questo, ora lei si ritrova anche a dover affrontare una battaglia legale con l’atelier a cui si era rivolta nel 2019, quindi con largo anticipo, per l’abito che avrebbe indossato il giorno delle sue nozze. Il negozio, infatti, le chiede “il saldo di un abito per il quale non ha mai indicato il nome del modello. E per il quale non ha mai preso le misure”, sono le parole del suo avvocato.

Il negoziante ha deciso così di rivolgersi a un giudice di pace, che ha negato anche la possibilità di avere un pagamento rateizzato, come richiesto dalla donna (la spesa ammonta a quasi 3 mila euro). Nell’opposizione all’ingiunzione di pagamento, gli avvocati della 36enne sostenevano “l’inesistenza del contratto di compravendita dell’abito del valore di 3.400 euro” e chiedevono anche all’atelier la restituzione della somma di 500 euro versata come acconto.

Il giudice, Pietro Vittorio Troili, è invece stato di diverso avviso e ha sostenuto come in realtà anche l’accordo “orale” che c’era tra le parti debba essere considerato un contratto. Ora la 36enne dovrà quindi pagare 2.970 euro e le spese legali.

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