Women's KKK, il Ku Klux Klan delle donne bianche di cui non si parla mai

Il Women's KKK, o Ku Klux Klan femminile, era un'organizzazione razzista per donne bianche protestanti, che proclamava un falso "femminismo di emancipazione".

Il Ku Klux Klan è e sarà sempre ricordato come uno dei movimenti razzisti e antisemiti più influenti nella storia degli Stati Uniti d’America, ma non molti sanno che è esistita anche una controparte femminile, il Women’s KKK.

Il Ku Klux Klan, come riporta il Jstor Daily, è nato a Pulaski, nel Tennessee, dopo la Guerra Civile, ed era un’organizzazione formata da uomini scontenti dei neri appena liberati, desiderosi di vendetta e di atti di violenza comune.

Le donne non facevano parte di questa prima iterazione del Klan, se non come ausiliarie; alcune cucivano o prestavano abiti ai loro mariti e familiari per aiutarli nei loro rituali e nelle loro attività razziste.

Nonostante questo primo Klan crollò negli anni Settanta del XIX Secolo, un secondo Ku Klux Klan si formò nel 1915, e questo attirò a sé tra i 3 e i 6 milioni di americani per tutti gli anni Venti.

Questo secondo Klan vide la creazione del KKK femminile, il Women’s KKK, un’organizzazione affiliata ma separata, riservata alle donne bianche protestanti.

La gerarchia e le dinamiche del Women’s KKK erano identiche a quelle della loro controparte maschile.

Con alcune eccezioni, come una rivolta del 1924 in cui le appartenenti al WKKK sfilarono con delle mazze, il WKKK non si impegnò nel linciaggio e in altri atti di violenza. Nonostante l’assenza di atti violenti, però, le affiliate al WKKK erano molto potenti e giocavano un importante ruolo a livello sociale.

Sembra, infatti, che alcune di queste donne vedessero il WKKK come un veicolo attraverso il quale proteggere e consolidare i diritti delle donne bianche e protestanti, a discapito dei diritti di tutte le altre donne.

Un articolo del New York Times pubblicato quest’estate in occasione del centenario del XIX Emendamento ha sottolineato come questi pregiudizi razzisti abbiano distorto il punto di vista di alcune leader bianche a favore del suffragio. Queste donne spesso sostenevano l’uguaglianza per le donne, ma al contempo si lasciavano andare a una retorica razzista, come per esempio promuovendo la pericolosità degli stupratori neri.

La sociologa Kathleen Blee scrive su Jstor Daily che, una volta vinta la lotta per il suffragio nel 1920, alcune donne appartenenti a dei sottogruppi si sono dedicate a mantenere l’America bianca. In questa versione più oscura del femminismo di emancipazione, il WKKK prometteva alle donne la possibilità di affermare il loro nuovo potere politico, di vivere la vita al di fuori dei confini della propria casa e di esercitare la propria autonomia.

Alcune di queste donne, scrive Blee, sostenevano che il WKKK avrebbe protetto dalle molestie sessuali e dai mariti violenti, e che il Klan sosteneva di credere nel femminismo e nella parità di retribuzione.

Questi valori promossi dal WKKK erano sinceri? Blee, dopo aver intervistato molte ex affiliate del WKKK in età avanzata, ritiene di sì.

Nel suo articolo White Women in the Ku Klux Klan, pubblicato su Counterpoints, William Pinar cita Blee: “Alcune donne del WKKK avevano una facile capacità di trasformare l’aspro bigottismo razziale e religioso in una politica progressista. Una ex donna del Klan, ad esempio, ha insistito sul fatto che non vedeva alcuna incoerenza tra la partecipazione al Klan degli anni Venti e il suo sostegno alla redistribuzione economica e al femminismo“.

Il Women’s KKK, insieme all’iterazione maschile del KKK degli anni Venti, si è sciolto entro il 1930 e le successive incarnazioni del Klan non hanno mai più avuto un’organizzazione femminile specifica.

Un resoconto accurato della partecipazione delle donne bianche al movimento del Klan degli anni Venti richiede a chi di noi si impegna per una società più giusta ed egualitaria di riconoscere l’apparente facilità con cui il razzismo e il bigottismo facevano e fanno tuttora presa sui principali cittadini americani“, conclude Pinar.

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