Il 3 novembre 1917, a Noventa di Padova, si consumò un evento destinato a rimanere impresso nell’anima della storia italiana, segnando un capitolo oscuro di brutalità e arbitrarietà nel potere militare.

In un giorno che sembrava come tanti altri, il generale Andrea Graziani incrociò mentre era in auto una colonna di artiglieri da montagna. Quando un soldato, il 23enne Alessandro Ruffini di Castelfidardo, osò salutare il generale senza togliersi la pipa dalla bocca, scatenò l’ira incontrollata del generale, che lo ammonì duramente infliggendo inoltre al soldato una punizione brutale.

Senza esitazione, lo bastonò pubblicamente, ignorando le suppliche delle donne e dei cittadini presenti. Quando un borghese coraggioso osò protestare contro quel trattamento disumano, il generale rispose con un cinico disprezzo, dichiarando: “Dei soldati io faccio quello che mi piace”. E per provarlo ordinò l’esecuzione immediata di Alessandro Ruffini. Mentre le urla delle donne straziavano l’aria, Ruffini fu fucilato contro un muro.

Successivamente, Graziani ordinò al Tenente Colonnello Folezzani di provvedere alla sepoltura, sentenziando: “È un uomo morto per asfissia”. Il Tenente Colonnello scelse di non includere la causa della morte nel rapporto ufficiale.

Questa vicenda, che si diffuse grazie all’articolo del giornale socialista L’Avanti! il 28 luglio 1919, fu raccontata dal Generale Graziani in un’intervista a Il Resto del Carlino. Sostenne di aver sentito dei soldati, mentre si trovava sull’automobile ad osservare la sfilata delle sue truppe, dire ripetutamente al compagno: “levati il sigaro, levati il sigaro”.

Il Generale dichiarò: “Valutai tutta la gravità di quella sfida verso un generale […]. Legato il soldato dai carabinieri della scorta, lo feci immediatamente fucilare contro il muro della casa vicina; tutto ciò si svolse nel giro di quattro o cinque minuti.” Graziani sostenne che questa azione era stata compiuta “per il bene della Patria in pericolo”.

Il generale Graziani, anni dopo, divenne una figura prominente del regime fascista durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, la sua fine tragica – cadde da un treno sulla tratta Firenze-Prato – sollevò dubbi e sospetti sulla vera natura della sua morte e alcuni la interpretarono come un pareggio di conti.

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