Ogni anno quasi il 30% dei circa 15 mila bambini e adolescenti dati in affido nel nostro Paese viene “restituito”. È una parola molto brutta da usare, certo, ma che esprime in maniera estremamente chiara e diretta cosa significa per questi ragazzi interrompere il loro rapporto con la famiglia affidataria.

Meno della metà fa rientro presso la famiglia di origine, alcuni vengono trasferiti in case-famiglia o strutture ad hoc, meno probabilmente vengono affidati a una nuova famiglia.

Sebbene la legge 184 del 1983 stabilisca che l’inserimento nelle case-famiglia sia da ritenersi un’opzione esclusivamente qualora non sia possibile l’affidamento, secondo quanto emerso nella Commissione parlamentare d’inchiesta sui minori, lo scorso 4 agosto, nel 2019 erano oltre 14 mila i bambini e ragazzi inseriti in strutture residenziali in Italia, di cui circa metà del totale erano stati allontanati dalla famiglia d’origine (27.608).

È chiaro che per un bambino affidato, che ha già vissuto il trauma di essere allontanato dalla propria famiglia di origine, essere “rifiutato” anche dalla famiglia collocatoria rappresenti un shock fortissimo, come testimoniano alcune esperienze riportate in un articolo da Repubblica.

‘Ti posso chiamare mamma?’.’Ti prego fammi restare con te, sarò brava. Non mi lasciare’. Queste implorazioni sono state pronunciata da Sara (nome di fantasia), 12 anni, che l’anno scorso è stata rifiutata – e riportata ai servizi sociali – dalla donna che l’aveva presa in affido. Dopo l’allontanamento dalla famiglia naturale, da cui aveva subito abusi, per Sara questo è stato un secondo abbandono, mitigato solo in parte dal sostegno dell’educatrice che le è stata accanto al momento della separazione. É lei che ha riportato a Repubblica.it le parole di Sara e la sua sofferenza. ‘La bambina mi pregava di trovare il modo di farla restare da quella donna, di non farla tornare di nuovo nella casa-famiglia da dove proveniva – racconta – ma non c’è stato nulla da fare’. La madre affidataria non ha sopportato le crisi di rabbia e le problematiche psicologiche che la ragazzina aveva. Ma Sara ‘è ancora ossessionata da questa donna. Chi colmerà il suo vuoto d’amore? Per il momento non potrà esserci una nuova famiglia per lei, ‘e un altro fallimento potrebbe essere devastante’.

Alcune statistiche rivelano che circa il 20% degli allontanamenti coatti, e quindi l’affidamento, è motivato da provvedimenti carcerari a carico dei genitori, dalla morte di questi ultimi, o da maltrattamenti o abusi, mentre la gran parte, l’80%, è motivata da una generica “inidoneità genitoriale”, che sottende a ragione di natura economica, perlopiù. In ogni caso, parliamo di situazioni limite, che ovviamente creano una profonda ferita nel minore.

Sarebbe estremamente facile giudicare in maniera negativa il comportamento delle famiglie che scelgono di rimandare indietro un bambino preso in affido. Si potrebbe fare appello al fatto che il diventare genitori affidatari non sia una scelta imposta, ma volontaria, espressa attraverso una messa a disposizione compilata e firmata presso il proprio Comune (anche se, val la pena sottolinearlo, nei casi di affidamento si cerca sempre di prediligere la linea familiare, entro il quarto grado), e che quindi nessuna persona sia “costretta” a farsi carico di un bambino che porta con sé sicuramente un bagaglio problematico.

Ma la verità, come spesso capita, è che la quotidianità con un bambino traumatizzato dal distacco dalla famiglia di origine, ad esempio, o da abusi subiti nella cerchia familiare, è ben diversa e comprensibile solo nel momento in cui la si vive con mano. Queste famiglie affidatarie possono avere a che fare con bambini o ragazzi traumatizzati, spesso molto violenti o rabbiosi, ed è chiaro che non possano, da sole, sanare dei vuoti o sopperire alle lacune a livello di assistenza sociale, che purtroppo di frequente arriva troppo tardi, quando questi minori sono già stati abusati e minati a vari livelli.

Non è un caso se, come affermano i ricercatori dell’Istituto degli Innocenti che periodicamente analizzano i dati del Ministero, la storia dei minori il cui percorso di affido si interrompe anzitempo (24 mesi, che possono essere prorogati in casi eccezionali) sia piuttosto simile: “soggetti con sequele di collocamenti che si susseguono nel corso degli anni”, sia “come scelte meditate di attuazione dei progetti educativi” che come “esiti di fallimenti che producono cesure nei loro percorsi di protezione e tutela”.

E dire che una modifica alla legge 184, la Legge 173 del 19 ottobre 2015, ha riconosciuto un principio fondamentale, ovvero il diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare, che sostanzialmente dà una corsia preferenziale alla famiglia affidataria nei casi di adozione e preme affinché i rapporti con quest’ultima siano mantenuti anche in caso di ritorno alla famiglia di origine.

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